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    03/07/2024

Formazione politica e classe dirigente nella lezione di Vittorio de Caprariis

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Da sx: Giuseppe Ciranna, Renato Cappa, Vittorio de Caprariis, Giuseppe Galasso e Grancesco Compagna nella redazione di Nord e Sud, 1956.ATRIPALDA - Si è concluso, nell’indifferenza di molti, il cinquantesimo anniversario della morte di Vittorio de Caprariis (Napoli, 1924 – Roma, 1964), uno dei maggiori filosofi della politica del XX secolo. Nell'assordante silenzio delle istituzioni unica eccezione è venuta dal liceo scientifico di Atripalda, che peraltro è intitolato proprio a de Caprariis, che ha organizzato un convegno nel dicembre dello scorso anno cui hanno preso parte, oltre alla preside Maria Stella Berardino, i professori Narciso e Della Sala.

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La famiglia de Caprariis, originaria di Zungoli, si era tra­pian­tata ad Atripalda, con Alfonso, un valente medico con­dot­to che seppe gua­­­­­­­­­­dagnarsi la venerazione della città. Il figlio Filippo (1879-1959), aveva stu­diato diritto all’Università di Napoli e si era poi dedicato alla professione forense. Col­la­bo­­­­­­­­ratore e seguace politico del­l’on. Carlo Vit­to­rio Ci­ca­relli, dal 1903 al 1910 era stato elet­to con­­­­­­sigliere comunale ed as­ses­so­­­re, svolgendo in  più occasioni anche le funzioni di sindaco. Nel 1911, dopo le nozze ce­lebrate in casa del­la sposa nel 1911 (Annina de Sapia, gen­til­don­na, figlia del medico Sa­verio, nata nel 1886, alla strada Piazza), Filippo e Annina si erano tra­sfe­riti a Na­po­li, nella se­ve­ra dimora di via dei Ven­tra­glieri dove, il 3 settembre 1924, e­ra nato Vittorio, il più giovane di quattro fratelli: Alfonso (1914-1938) che morì di tifo a ventiquattro anni, mentre si av­viava ad una bril­lan­te carriera in magistratura, Antonio (1916, ingegnere), Carlo (1922-2014 magistrato).

Ma se Filippo de Caprariis, come gran parte del­­la ric­ca borghesia meridio­nale, aveva scelto di tra­­sferire a Na­poli la famiglia e gli interessi pro­fes­sio­­nali, con­ser­va­va tuttavia profondi legami, non so­lo affettivi, con Atripalda e l’Irpinia; che Vittorio con­ser­­vò intatti, benché nella cit­tà partenopea egli for­mas­se la sua personalità in­tel­let­tua­le, alla scuola di O­­­modeo, Chabod  e Dorso, segnalandosi, più tar­di, come u­no dei più giovani ed intelligenti interpreti del pen­sie­­ro crociano. E proprio Benedetto Croce, ricordato con com­­po­sta commozione nel 1962, gli aveva rivelato “[...] nel­l’at­mo­sfera attristata e torbida del 1941”, i per­corsi insidiosi ed affascinanti della storia europea e le trame del con­fronto politico.

Scomparso prematuramente Adolfo Omodeo nel 1946 e pochi mesi più tardi anche Guido Dorso, il gio­va­ne Vittorio de Caprariis trovò nell’Istituto i­ta­liano per gli studi storici (che Croce aveva vo­luto i­naugurare nel feb­braio 1947 in un’ala di Pa­lazzo Fi­lo­marino, aff­i­dan­do­ne la direzione a Fede­rico Cha­bod) un ambiente ricco di fermenti intellet­tuali ed un’at­mosfera estranea al con­for­mismo ed al pro­vin­cia­lismo culturale degli anni del fa­scismo. Successivamente l’ideazione con Francesco Chinchino Com­pa­gna del­la ri­vi­sta «Nord e Sud» e la partecipazione as­si­dua alla av­ven­tura gior­nalistica e politica de «Il Mon­­do» di Pan­nun­zio (sul qua­le pubblicò rego­lar­men­­te dal giugno del 1960 la ru­bri­ca Ceneri e fa­vil­le con lo pseudonimo Turc­a­ret), fu­­­­ro­no le tappe di u­na vita intensa e fe­con­da, vis­su­ta qua­­­si con l’an­sio­sa preveggenza della mor­te.

Giovanissimo docente di Filosofia del diritto, in­­ca­ricato nell’Università di Napoli e poi ordinario in quel­la di Messina, Vit­torio de Caprariis legò la sua attività di ri­cerca e di studio a temi di ampio re­spi­ro civile e po­li­ti­co (si ve­dano i volumi Francesco Guic­ciardini. Dalla po­l­i­tica alla storia, Bari 1950; Pro­paganda e pensiero po­li­ti­co in Francia durante le guerre di religione, Na­poli 1959; Profilo di Toc­que­­ville, Napoli 1962) che hanno la­scia­to (insieme al saggio Storia della Re­pubblica dal 1946 al 1953, pub­blicato postumo ed ai numerosissimi in­terventi gior­nalistici, poi rac­col­ti in volume) una trac­cia pro­fonda nella storia del­la cultura e delle idee.

Questa in estrema sintesi la bio­g­rafia intellettuale di Vittorio de Caprariis, ac­cet­­tando il rischio di lasciare irrimediabilmente in om­­bra la sua per­sonalità: il fascino della con­versa­zio­­ne, la vividezza del­l’intelligenza, gli impre­ve­di­bi­­li scarti di umore, ma an­che i pudori e le malin­co­nie, gelosamente celate sotto il ca­rat­­tere ruvido.

A Guerico Russo, Mario Galdieri, Nicola Ma­glia­ro, Antonio Iannaccone, Luigi Barbarito, confidenti e sodali negli anni della guer­ra tra­­scorsi ad A­tripalda, lo legava, per esem­pio, una ro­busta trama di com­plicità e di affetto che si con­ser­vò immutata sino alla prematura fi­ne. Essa si alimentava nella consuetudine delle lun­­ghe quo­tidiane passeggiate serali, delle inter­mi­na­­bili partite a po­ker, delle conversazioni di let­tera­tu­­ra, di fi­losofia e di po­litica, sprofondati nelle pol­tro­­ne di vimini del bar Italia (Vit­torio, tra i suoi coe­ta­­nei, riconosciuto ed indiscusso - sep­pure un po’ stra­­vagante – “maestro”). Ma se Guerico Russo (Torre le Nocelle 1924- Atripalda 2012),  il più vicino a Vittorio de Caprariis, fu di fatto estraneo al confronto politico, nel gruppo di amici si confrontavano diversi orientamenti che cominciavano a definire la sostanza del dibattito tra il ’44 ed il ‘46: mentre, per esempio, Galdieri e Iannaccone (Atripalda 1925) sembravano più vicini al partito d’Azione, Nicola Magliaro (A­tri­palda 1924-Avellino 2013) nel '44 fu tra i fondatori della sezione democristiana di A­tri­pal­­da. Del sodalizio erano parte non trascurabile, per intelligenza e passione civile, (oltre al sacerdote Luigi Barbarito, anche Pasquale Costanza, Sa­bi­no Narciso (socialisti), Sabino No­va­co, Antonio Postiglione ed il più giovane En­rico Venezia.

Erano gli anni della lenta ripresa della vita de­mo­­cra­tica in terra irpina e Vittorio de Caprariis li vi­ve­­va im­mer­so in studi severi, riservato e inac­ces­si­bi­­le­, nel suo an­gusto studiolo (come lo ha felice­men­­te ricordato un suo giovanissimo allievo di al­lo­ra, Antonio Tirone), non e­straneo tuttavia ai muta­men­ti e alle spe­ranze della rinata de­mocrazia.

Proprio ad Atripalda, dove tornava spesso e do­­ve vis­se tra il ’43 e il ’45, il Vittorio de Caprariis ma­­turò una concreta, per quanto effimera, e­spe­rien­za politica, co­me promotore e segretario del­la se­zio­ne cittadina del par­ti­to d’Azione, costituitasi l’8 ot­to­­bre 1944 ed allocata in un terraneo dell’austero pa­­lazzo di famiglia. Il 15 febbraio 1945 scriveva da Atripalda alla direzione de «L’A­zio­ne» di Napoli, diretta allora da Antonio Arminio (vi­ce direttore e­ra Guido Macera), comunicando l’avvenuta co­stituzione della se­zio­ne del P.d’A. e di essere stato de­si­gna­to corrispondente del gior­nale: ”Mi pregio comunicarvi che in data 8-10-44 si è costi­tui­ta in Atripalda (prov. di A­vel­lino) la sezione del nostro partito. So­no stato designato qua­le vostro corrispondente. Il segretario Vit­torio de Ca­prariis”.

Il dibattito si sviluppava intorno alla in­suf­fi­cien­za dei partiti storici, al trasformismo, ai mec­ca­ni­­smi di for­ma­zione e di selezione della élite; ed e­ra an­cora la lucida a­nalisi storico-politica di Dorso ad ac­cendere e ad ali­men­tare (prima attraverso «Ir­pi­nia Li­bera» e poi attra­ver­so il faticoso impegno quo­ti­dia­no de «L’Azione» di Na­po­li) entusiasmi e spe­ran­ze. Non fu casuale perciò che proprio alla seconda se­rie di «Irpinia Libera» il giovane de Caprariis af­fi­das­se le sue prime riflessioni politiche, pubbli­can­do­vi due articoli tra il maggio e il giugno del 1945: un intervento sul­l’at­tualità del partito d’Azione ed un com­mosso ricordo di Carlo Rosselli, nell’ottavo an­­ni­versario della morte, ar­ticoli che vale la pena di ri­leggere - se non già per l’o­ri­gi­nalità del­le tesi - co­me documento di una robusta ed ar­den­te coscienza ci­­vile e di una già elegante e misurata co­struzione del pen­siero.

«Irpinia libera», il primo foglio stampato in Ir­pi­­nia do­po la caduta del fascismo nell’ottobre del 1943 (ad ap­pe­na un mese dal sanguinoso bom­bar­da­men­­to su A­vel­li­no delle truppe angloamericane), a­ve­­va ripreso le pubbli­ca­zioni nel febbraio del ’45 sot­­to la direzione di Alfredo Mac­canico (Avellino 1898-1972), come or­ga­­no ufficiale del partito d’A­zio­ne. Una prima serie de «L’Irpinia Libera», diretta dall’avv. di A­t­ri­palda Bar­tolomeo Giglio, e pubblicata come organo del co­mitato irpino del fronte nazionale di liberazione, fu sospesa do­po alcuni numeri dal­­le autorità militari alleate. Dorso vi a­veva pubblicato (n. 3, 13 no­­vembre 1943) il più volte ci­ta­to articolo Ruit hora!. Dalle sue co­lon­­ne Alfredo Maccanico, Nicola Vel­la, Manlio Ros­­si Doria, Vittorio de Caprariis (mentre Dor­­so lo­­gorava le sue energie nella direzione de «L’Azio­­­ne») alimentavano un serrato confronto politico con «Il Lavoratore irpino», organo del Partito comu­ni­sta, di cui fu animatore instancabile il giovane pub­bli­cista Sil­­ve­stro Amore, «Il Domani», or­ga­no del­la Demo­cra­zia cri­stiana, di Fiorentino Sul­lo e del giovane e bat­ta­glie­­r­o sacerdote di A­tri­pal­da Lui­gi Barbarito, assistente dio­­cesano dell’A­cli.

Ap­pena un an­no prima di morire Vittorio de Ca­pra­­riis aveva ri­pub­bli­cato su «Il Mondo» (per una cu­­riosa, e in­con­sa­pe­vo­l­men­te premonitrice, coin­ci­den­­za) un articolo intitolato Il giardino in­com­piu­to. Rileggendo in parallelo il saggio di Montaigne e il “so­liloquio” dettato da Croce poco prima della mor­­te, il de Caprariis non si lasciava sfuggire l’oc­ca­­­­sione per una rif­lessione serena a proposito del suo giardino in­com­piu­to: “Non v’è nella vita degli uomini una sola ora della ve­ri­tà, l’ul­­tima: ve ne sono tante quanti i giorni della vita”. E concludeva: “Conviene prendere atto di ciò che avvertiva lo stesso Mon­­taigne: mes adieux sont à demi pris de chacun, sauf de moi. Con l’avvertenza che questi addii sono quotidiani e so­no insieme i più difficili di tutti: perché si possono rac­co­­gliere anche nel motto di Camus, che gli uomini muo­­iono e non sono felici”.

Vittorio de Caprariis si spense a Roma il 7 giu­gno 1964, stroncato a qua­rant’anni non ancora com­­­piuti. Le sue spoglie mortali, accompagnate dal­la gio­vane signora Alda Gabrieli [figlia dell’arabista Francesco, scomparsa nel gennaio del 2013] e da pochi amici (tra i qua­li Francesco Compagna e Ugo La Malfa che pro­nun­­ziò l’elogio fune­bre), riposano ad A­tri­pal­da nella tom­ba di famiglia.

 

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