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    22/07/2024

Preziosi/L'antisemita che non piaceva a Mussolini

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Giovanni Preziosi e Benito MussoliniAnche lo scorso 27 gennaio, in occasione della “Giornata della memoria”, l’Irpinia ha ricordato i suoi eroi, a partire da Giovanni Palatucci, che pagarono prezzi altissimi negli anni a cavallo tra il 1938 ed il 1945, quando la persecuzione antiebraica coinvolse anche il nostro Paese. Purtroppo, però, la nostra terra diede i natali anche ad alcuni tra quelli che si trovarono dall’altra parte della barricata.

Tra i teorici della superiorità della razza “ariana” l’irpino Giovanni Preziosi (Torella dei Lombardi, 1881-Milano, 1945) fu certamente il più accanito: “forse l’unico vero e coerente antisemita italiano del XX secolo”, come lo definisce Renzo De Felice. Nato nel 1881, si fece sacerdote, per poi abbandonare l’abito talare nel 1911 ed avviare una lunga carriera di giornalista. Fondò e diresse il periodico “La Vita Italiana” e scrisse vari opuscoli e pamphlet sulla situazione economica degli anni del primo conflitto mondiale. Dal 1920 in poi, però, i suoi interessi si focalizzarono prima sulla questione sionista, e, poi, su quella razziale, sempre in funzione anti-ebraica. In quell’anno, dopo averlo letto nella sua versione tedesca, tradusse in italiano uno dei falsi più clamorosi della storia della saggistica, i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, la cui diffusione contribuì alla nascita di un vero e proprio movimento antisionista in Europa.

Preziosi individuò nella “congiura mondiale” ebraica e nell’influenza che essa avrebbe avuto nelle politiche economiche delle nazioni occidentali la vera origine della crisi post-bellica, che ebbe effetti devastanti sulle condizioni socio-economiche del Paese. Nei suoi scritti la lobby giudaico-massonica avrebbe determinato persino l’atteggiamento tenuto dagli Alleati al tavolo della pace di Versailles, dove le aspettative dell’Italia in termini di acquisizioni territoriali furono sostanzialmente frustrate. In questo contesto egli individuava nella massoneria e nei centri del potere economico e burocratico i formidabili strumenti per la sopraffazione dei popoli “ariani”. Con la progressiva ascesa al potere del movimento fascista, Preziosi trovò un’agibilità politica che sino ad allora gli era stata negata.

Fu, in ogni caso, un fascista anomalo, in quanto la sua adesione fu dettata – molto probabilmente – proprio dalla necessità di reperire uno spazio per i suoi programmi antisemiti, che, soprattutto nei primi anni del movimento, non costituivano certamente il punto di forza e gli obiettivi principali di Mussolini e – più in generale – del Pnf. Nei primi anni del regime ebbe l’incarico di occuparsi della riforma della pubblica amministrazione; e, tuttavia, anche in questo caso, nel diagnosticare i mali della burocrazia italiana, egli richiamò le influenze ed i condizionamenti della “Internazionale ebraica”. Le sue campagne antiebraiche ed antimassoniche assunsero caratteri ossessivi; più di vent’anni dopo, in un memoriale indirizzato a Mussolini ricordava quel che gli aveva scritto dalla marcia su Roma in poi, e, cioè, che la salvezza e le fortune dell’Italia passavano per l’annientamento degli ebrei e della massoneria.

Le sue prese di posizione, però, gli avrebbero in seguito causato una progressiva emarginazione dal movimento fascista (al quale aderì fin dalla sua nascita), che, seppure contrario alla massoneria nelle intenzioni e nei proclami, di fatto conservò per molti anni elementi di contiguità. Anzi, anche Roberto Farinacci, nume tutelare di Preziosi per tutti gli anni Venti, era lui stesso massone.

Ma l’attività giornalistica di Preziosi fu segnata, più che da ogni altra cosa, dalle virulente prese di posizioni antiebraiche. Già prima degli anni Venti egli si espresse contro la lobby ebraica che stava condizionando le politiche economiche dell’Europa Occidentale. Era una nefasta teoria che nello stesso periodo si stava diffondendo nella Repubblica di Weimar e, successivamente, avrebbe contribuito all’affermazione del partito nazionalsocialista agli inizi degli anni Trenta. Preziosi, traduttore in lingua italiana de “I protocolli dei Sette Savi di Sion” (celeberrimo falso storico che alimentò a dismisura le tensioni antiebraiche in tutto l’Occidente), trovò nel movimento fascista un buon terreno di coltura per la diffusione delle sue teorie. Partecipò, sia pure da ospite, ad alcune sedute del Gran Consiglio del fascismo, che poco dopo, anche in considerazione delle sue prese di posizione decise che l’appartenenza al partito era incompatibile con quella alla massoneria.

E, tuttavia, le invettive di Preziosi erano considerate violente persino dal regime, tanto da essere progressivamente allontanato dall’apparato, dopo averne scalato le posizioni nella prima metà degli anni Venti. Perse la direzione del “Roma”, ed un altro periodico da lui diretto, “Il Mezzogiorno”, fu chiuso dal regime. Le sue fortune non migliorarono neanche dopo l’avvio delle persecuzioni antiebraiche in Italia e l’approvazione delle leggi razziali del 1938, che egli riteneva parzialmente inefficaci in quanto prevedevano un trattamento di favore per alcune categorie di ebrei legati al partito fascista.

Solo dopo il 25 luglio 1943 e la seduta del Gran Consiglio che decretò la destituzione di Mussolini riacquistò un ruolo, seppure modesto, nel contesto del regime ormai morente. Anzi, proprio pochi giorni prima di quella seduta, Preziosi, come altri, tentò di dissuadere Mussolini a convocarla o, comunque, a prendervi parte, essendo sempre più frequenti ed insistenti le voci del tradimento ordito da alcuni gerarchi (Grandi e Ciano, su tutti) ai danni di Mussolini.

In questa vicenda si inserì anche una faida interna al fascismo avellinese. Uno dei “congiurati”, infatti, fu Alfredo De Marsico, acerrimo nemico di Preziosi, che più volte aveva tentato di screditarlo – invano - presso Mussolini. In seguito, ancora nel memoriale del 1944, gli rimproverò questa sua benevolenza nei confronti del ministro della Giustizia, avendo considerato gli avvertimenti di Preziosi come beghe interne al fascismo irpino.

La nascita della Repubblica di Salò lo riaccreditò agli occhi del Duce, sempre più condizionato e dipendente, anche nel campo della persecuzione antiebraica, dal regime nazista. Preziosi, che si trovava già in Germania quando vi giunse Mussolini reduce dal Gran Sasso, fu nominato ispettore generale per la razza. In realtà, tutti i suoi sforzi continuarono ad appuntarsi sulla redazione di scritti antisemiti, a partire da “Giudaismo-bolscevismo-plutocrazia-massoneria”, opera che rappresenta più compiutamente di ogni altra le sue teorie.

A quel periodo risale anche il memoriale indirizzato a Mussolini, con cui incitò quest’ultimo a risolvere – una volta per tutte – la questione ebraica, che nelle sue parole assumeva un ruolo determinante ai fini dei destini del fascismo. Ancora una volta, le sue posizioni furono giudicate estremistiche persino dal regime, che pure – nei due anni di vita della Rsi – acuì la sua politica antisemita. Come altri esponenti del partito, nella primavera del 1945 si scoprì impreparato e travolto dal rapido disfacimento delle ultime sacche di resistenza nazi-fascista. E, proprio nelle ore in cui Mussolini, dopo il fallimento degli ultimi tentativi di trattativa con il Cln, si allontanava da Milano, Preziosi vi si recò, in compagnia della moglie, con la quale scelse di suicidarsi il 26 aprile.

 

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