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    03/07/2024

Serviva la Campania e l'area flegrea l'acquedeotto voluto da Augusto

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Cultura2_serino2.jpgSERINO - Nel 2014, anno appena trascorso, si è celebrato il bimillenario della morte dell’imperatore Augusto, morto il 19 agosto del 14 d. Cr. a Nola, dove il padre C. Octavius possedeva una villa. La celebrazione dell’importante anniversario ha attivato molteplici iniziative in Italia, in Europa, in Egitto, negli Stati Uniti, ed in Australia.

In Italia tra le Regiones augustee un particolare legame unì Augusto alla I Regio, chiamata Latium et Campania, ed in Campania si sono realizzate una serie di mostre, e si sono individuati alcuni “itinerari augustei”, in quei luoghi dove furono fondate numerose colonie, dopo la fine della guerra sociale, che restituiscono molte testimonianze delle trasformazioni  monumentali e delle importanti infrastrutture  volute dal Princeps. Come è noto l’acqua è uno dei temi importanti della propaganda augustea, associandosi ad immagini di fecondità, abbondanza, ricchezza e prosperità, risultati che il Principe rivendicava alla sua azione politica e alle sue cure per il popolo.

Basti pensare alle operazioni condotte a Roma, dove sappiamo come capillare fu la ristrutturazione di tutti i condotti esistenti, per non parlare nelle nuove adduzioni : l’Aqua Iulia, voluta da Agrippa, genero dell’imperatore, nel 33 a. Cr., l’Aqua Virgo del 19 a. Cr., che riforniva le nuove terme pubbliche del Campo Marzio e l’Aqua Alsietina (del 2 a. Cr.) per alimentare le naumachie che avvenivano in Trastevere.

Secondo le fonti (Plinio e Frontino) sotto Augusto esistevano a Roma 130 castelli di distribuzione che riempivano le 700 vasche fatte costruire proprio in quegli anni. Opere che erano destinate a migliorare sensibilmente la vita della popolazione. Ad imitazione di Roma anche altre città si dotarono di adeguate risorse idriche. Tra queste Puteoli (Pozzuoli), primo porto commerciale dell’impero, dove nel suo territorio, a Miseno, Augusto decise di trasferire la flotta militare nel 12 a. Cr.

Anche l’Irpinia partecipa a questa nuova fase di mutamenti e di progettazioni perché nel  territorio della colonia di Abellinum, nella Alta Valle del Sabato, Augusto fece costruire l’acquedotto cosiddetto del Serino, alle sorgenti Acquaro, che serviva la Campania e l’aerea flegrea. La colonia di Abellinum insieme con Beneventum era rifornita da un diverso acquedotto che sfruttava le sorgenti Urciuoli, poste poco più a valle. La denominazione di Aqua Augusta o Fontis Augustei Aquaeductus si desume da una iscrizione dell’età di Costantino, rinvenuta nel 1938 alle sorgenti Acquaro (dove è conservata), che celebra il restauro delle strutture, finanziato da Costantino e dai suoi due figli Costantino II, e Crispo nel 324 d. Cr. La dedica è posta dal primo Consularis Campaniae Ceionius Iulianus, ed il curator della messa in opera della dedica fu Pontianus praepositus acqueductus. Le città indicate nell’iscrizione per il “ramo neapolitanum” sono: Puteoli, Neapolis, Nola, Atella Cumae, Acerrae Baiae e Misenum, manca naturalmente Pompei perché distrutta dall’eruzione vesuviana nel 79 d. Cr.

Dalla captazione delle sorgenti Acquaro, oggi ubicate nell’odierno Comune di Santa Lucia di Serino, l’acquedotto seguiva la riva sinistra del Sabato sino al vallone di Contrada, costeggiando i monti di Serino, Cesinali ed Aiello, e dal vallone di Contrada attraverso Forino giungeva sino alla Laura da dove discendeva fino a Preturo ed al piano di Montoro. In queste aree molto accidentate furono impiegate opere notevoli di ingegneria, per ponti canali, viadotti e profonde gallerie. Da Montoro sino a Lanzara aveva una conduzione sotterranea, e successivamente con una seconda galleria giungeva sino a Sarno; seguendo poi il costone di Castel San Giorgio giungeva a Terravecchia di Sarno dove è conservato il famoso tratto ad arcate detto “mura d’Arce”. A monte di Foce Sarno sboccava nella pianura nolana, presso Palma Campania, per la diramazione di Nola; poi si dirigeva verso Pomigliano d’Arco, dove restano considerevoli resti di un ponte canale, quindi verso Capodichino, dove si innestava la diramazione per Atella, e attraverso i cosiddetti “Ponti Rossi”, che sono resti di arcate di questo acquedotto, giungeva a Napoli.

Di qui il tracciato proseguiva prevalentemente in galleria, attraverso le colline del Vomero e di Posillipo, attraversando poi le falde del monte Sant’Angelo, del Montespina e del monte Olibano per raggiungere Puteoli; curvando sul fianco Nord occidentale del Lago d’Averno e superando la diramazione per Cuma proseguiva infine lungo il versante costiero orientale per Baia e Miseno, dove si snodava in arcate il tratto terminale con la piscina Mirabile.

L’acquedotto, realizzato nelle parti in muratura in opus reticulatum, fu progettato e portato a termine tra il 37 e il 12 a. Cr. La cronologia è confermata dal rinvenimento di una iscrizione in una galleria in località Scalandrone (Bacoli), incisa nel tufo che celebra l’apertura di un cunicolo di collegamento tra la galleria stessa ed un ramo dell’acquedotto del Serino per permettere l’approvvigionamento delle aree circostanti estremamente edificate con importanti complessi termali, ma anche per riservare una portata sufficiente per l’uso della flotta militare a Miseno.

L’iscrizione riporta una data corrispondente al 30 dicembre del 10 d. Cr., termine cronologico prima del quale dobbiamo ritenere che l’opera era pienamente funzionante durante il principato augusteo. Questa scoperta è stata celebrata nel castello di Baia il 30 dicembre 2010 con un evento-convegno tra l’Arin e la Soprintendenza per i Beni archeologici di Napoli.

Il potenziamento della rete idrica realizzato con l’utilizzo delle sorgenti della Alta Valle del Sabato ci fu anche per Abellinum e Beneventum.Non abbiamo in questo caso una iscrizione come per l’altro acquedotto, ma possono venire in aiuto sia notizie di ordine amministrativo sia la tecnica di costruzione, per attribuire il primo impianto all’età augustea.

Per Benevento l’ipotesi è più agevole perché la città è inserita nell’elenco delle colonie, riportate da Plinio, dedotte in età augustea, con la presenza del console Munazio Planco, sostenitore di Ottaviano, che diresse l’intervento delle vaste assegnazioni di terre ai veterani. Per Abellinum, anche se non inserita nell’elenco pliniano delle colonie augustee ,si può presumere una deduzione in quel momento, tenendo conto soprattutto dei legami della città con la famiglia di Ottaviano Augusto che si desumono dalle iscrizioni, dalla produzione artistica, ma anche per la tecnica edilizia utilizzata nei maggiori monumenti della città nel loro primo impianto: l’opus reticulatum. L’uso di questa tecnologia esplose proprio in età augustea, e fu ampiamente utilizzata nella ricostruzione della città dopo la guerra sociale. La stessa tecnica è utilizzata in gran parte dell’acquedotto.

Alle sorgenti Urciuoli è conservato un tratto sotterraneo dell’acquedotto, con copertura a doppio spiovente. Da qui verso Atripalda il condotto seguiva la riva destra del Sabato in posizione elevata: lo si vedeva nel banco di tufo alle “Case Spaccate” simile nella tecnica costruttiva al tratto iniziale e viceversa con volta a botte nel prospiciente monte Uovolo.

Dalle “Case Spaccate” sino ad Atripalda costeggiava le falde del monte Castello, con una pendenza minima così da trovarsi sempre in posizione elevata presso il Palazzo ducale dove è inglobato il serbatoio di distribuzione dell’acqua per la città. In questa area in località Acqua Chiara sono stati rinvenuti altri ponti canali al confine con il Comune di San Potito, dove ne sono conservati una serie orientata in senso Est-Ovest, che costituiscono una acquedotto di adduzione che sfruttava le sorgenti perenni di Sorbo Serpico, le quali sono tutt’ora ancora in uso. Dalla conca di Atripalda, prima di giungere a Prata, al Ponte Sabato, nello stabilimento Fma, scavi archeologici ne hanno riportato alla luce un ampio tratto con volta a botte, che doveva essere a vista, e che ha anche conservato, la cosiddetta sorgente o fontana.

Il condotto passando lungo le mura occidentali di Abellinum si dirigeva verso Prata, dove alla località Palata, ne sono conservate cospicue tracce, ed in quel punto attraversava la sponda del Sabato. Da Prata seguendo sempre la riva sinistra del fiume anche con la tecnica dell’attraversamento mediante lo scavo di una galleria (ritrovamento di Tufo), il condotto giungeva ad Altavilla Irpina, dove al Ponte dei Santi si conservano cospicue vestigia di ponti canali, e dove confluiva l’acqua sorgiva della “Fontana dei Formosi” mediante una canalizzazione suppletiva.

L’acquedotto, procedendo lungo la via che porta a Benevento, si dirigeva verso Chianchetelle, riattraversava il fiume con un grande ponte canale le cui arcate si conservano all’altezza di Ceppaloni e Chianche, e di qui, sino al suo termine a Benevento, il tracciato si mantiene sulla destra del fiume. Attraverso l’alveo del torrente Fratta, alla località Bagnara entra nel territorio di Benevento nelle vicinanze del convento dei Cappuccini di San Felice, per giungere alla Rocca dei Rettori, luogo nel quale è inglobato il serbatoio terminale dell’acquedotto.

Alle sorgenti Urciuoli si conservano due dediche al consolare beneventano C. Egnatio Certo al quale si devono assai probabilmente, nel corso del III secolo d. Cr., lavori di restauro, mentre non siamo a conoscenza se anche questo ramo fu oggetto dei restauri costantiniani. Ignoriamo quali rifacimenti attribuire ai restauri del III secolo, per il ramo Abellinum-Beneventum, né tanto meno alle riparazioni costantiniane di quello campano. Per quest’ultimo un restauro ancora successivo a Costantino è menzionato in una Costituzione di Onorio del 28 dicembre 399 d. Cr. indirizzata al prefetto del pretorio d’Italia Valerio Messalla, che mostra ancora in piena efficienza, sullo scorcio del IV secolo d. Cr., l’importante opera pubblica.

L’acquedotto, forse, era ancora in funzione in età angioina, se il re Carlo I stabilisce un contributo per la sua manutenzione. Nella seconda metà del XV secolo viene chiesto a Ferdinando I d’Aragona il permesso di utilizzare un ponte canale presso Pomigliano d’Arco nella costruzione di un nuovo castello. Si può desumere che, pur nell’abbandono, l’acquedotto era considerato opera d’interesse pubblico e il suo funzionamento doveva essere cessato non prima del XIV secolo. Comunque nel XV secolo il ricordo della grandiosa opera romana era ancora viva: il Pontano mostra di conoscerne esattamente le linee generali del tracciato.

L’architetto napoletano Pierantonio Lettieri, per ordine del vicerè Don Pedro de Toledo, esaminò con accuratezza il percorso, per verificare se si potesse rimettere in efficienza l’antico acquedotto. Egli riassunse poi nel 1560 il risultato delle sue indagini in una relazione che fu pubblicata nel 1803 dal Giustiniani, alla fine della voce “Napoli” del “Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli”. Nel 1840 l’architetto Felice Abate riprendeva lo studio dell’acquedotto del Serino, al fine di un possibile ripristino, e nel 1862 presentò una accuratissima relazione al sindaco di Napoli con un progetto per fornire l’acqua potabile alla città.

Soltanto dopo vent’anni, nel 1883, si inaugurò la nuova costruzione come documentato nel volume “L’acquedotto di Napoli. Società Veneta per Imprese e Costruzioni”, edito a Bassano del Grappa in quell’anno, e un’imponente opera di rifacimento è stata realizzata negli ultimi decenni del secolo scorso.

 

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