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    03/07/2024

Versi anonimi contro la politica anticlericale di Pasquale Stanislao Mancini

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Un ritratto di Mancini, una sua caricatura e, nella foto a finsitra, il testo delle quartineLe lettere anonime sono sempre state una spina per gli uomini pubblici. Toccò anche a Pasquale Stanislao Mancini riceverne nel corso della sua attività di uomo politico. Una di esse, addirittura in versi, si trova conservata tra le sue carte (Istituto di Storia del Risorgimento, B. 627 – 15 [20]). Essa fu recapitata probabilmente nel settembre del 1867, come attesta la data (15 settembre ’67) aggiunta con grafia diversa dall’estensore della lettera e come fa pensare il tema affrontato nella medesima, strettamente correlato alla materia che proprio in quei mesi aveva avuto un nuovo impulso con una legge che, insieme alla precedente del luglio 1866, aveva reso compiuta la cosiddetta eversione dell’asse ecclesiastico, la cui paternità fu, ed è tuttora, attribuita al giurista di Castel Baronia.

Su questi argomenti, Mancini, in qualità di deputato, aveva tenuto alla Camera una serie di discorsi nelle tornate del 10, 11 e 12 luglio 1867 nella discussione del progetto di legge sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico nell’ambito delle relazioni della Chiesa con lo Stato italiano e sulla Questione romana. Che Mancini abbia avuto più d’una impennata anticlericale lo riconosce anche Arturo Carlo Jemolo che, però, ha grande stima del politico irpino cui riconosce notevole scienza giuridica.

Il complesso di leggi, com’è noto, colpì in maniera violenta gli interessi della Chiesa cattolica sancendo la soppressione di ordini, corporazioni e congregazioni religiose e di enti ecclesiastici e disponendo l’acquisizione al demanio pubblico di tutti i beni di cui erano in possesso, tra i quali immobili, libri, manoscritti e opere d’arte. A prescindere da valutazioni storiche, un atto violento che nella pratica concretò una vera e propria spoliazione, con il risultato che a fine ‘800 nove immobili pubblici su dieci (150anni.it) provenivano dai beni acquisiti con le leggi del 1866 e del 1867. Fu perciò naturale la nascita, presso gli ambienti ecclesiastici, di sentimenti di rabbia e di forte sdegno, con la conseguenza di collocare la figura di Mancini in una luce negativa, ancora piuttosto viva.

Le anonime quartine, dunque, probabilmente scritte da un religioso e firmate con un nome di fantasia (Abacaracrugazes Di Lopessato), esprimevano proprio una forte condanna per l’attacco che era stato sferrato alla Chiesa e al Papato. Nelle stesse, in rima alternata, con toni aspri anche se non volgari, vengono rivolte a Mancini parole dure: carogna, infame, tizzone d’inferno,  fellone,  nemico di nostra religione, porta d’inferno, ecc.; nel migliore dei casi, frammassone e seguace di Voltaire.

Tuttavia l’obiettivo dell’autore non era tanto, come accade per casi simili, di rivolgere una massa di improperi triviali e di minacce, quanto piuttosto un sinistro, raffinato augurio della fine sua (Mancini, ormai sicura è la tua morte) e del neonato regno dei Savoia, responsabili della politica anticlericale, in piedi già da svariati lustri (stringi pure la mano a Cavour che all’inferno ha preso stanza).

Il misterioso poeta trae spunto da un episodio descritto nella Bibbia, capitolo cinque del libro del profeta Daniele, per rivolgere a Mancini lo stesso oscuro e terribile presagio che una mano misteriosa rivolse a Baldassarre, re (meglio, reggente) di Caldea e discendente di Nabuccodonosor. Baldassarre - che pare fosse figlio del re Nabonide, il quale, assente poiché gravemente malato, gli aveva affidato la reggenza del regno – aveva organizzato una cena con i principi e i dignitari di corte, mogli e concubine, utilizzando i vasi d’oro e gli arredi sacri rubati al tempio di Gerusalemme e compiendo in tal modo un vero e proprio sacrilegio verso la religione ebraica. E, infatti, i convitati caddero nella paura e nello sconforto allorché, mentre era in corso la cena, “apparvero le dita di una mano, le quali scrivevano sulla parete della sala reale” (Dan. 5, 5): Mane, Thecel, Phares.

Baldassarre, fortemente turbato e non convinto dai suoi indovini,  volle che la scritta fosse interpretata da Daniele, considerato uomo retto e giusto oltre che potente oracolo, il quale svelò l’arcano predicendo che Dio “aveva computato il suo regno e vi aveva posto fine” (Mane); che egli, Baldassarre, “era stato pesato (Thecel) e trovato mancante; che il suo regno sarebbe stato diviso (Phares), cose che avvennero quella stessa notte. Infatti, Babilonia fu occupata senza combattere, Baldassarre ucciso e il regno diviso e assegnato ai Medi e ai Persiani.

Quale episodio poteva riunire in sé, meglio di quello biblico, tutti gli auspici che il misterioso scrittore delle quartine intendeva rivolgere a Mancini? “Il Mane Daniel dice che morrai….Il Thecel è che nemmeno tu godrai/d’un successore, ma il tuo regno invaso/…… il Phares che domani tu dannato/sarai nell’infernal baratro oscuro/e in eterno sarai là tormentato/.

L’effetto che la lettera poté fare su Mancini, in realtà, è lo stesso misterioso estensore a immaginarlo: già il prevedo o fellon, riderai/de’ miei versi e di quanto ti ho detto/.

Che forse possa essere andata così ce lo fa intendere proprio il fatto che alle quartine sia stata date la dignità di essere conservate tra ben più sudate carte.

 

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