ZUNGOLI – È in programma domani, alle 16.00, la consegna del premio "Werner Bischof - Il flauto d'argento", promosso dal Photoclub di Guardia Lombardi, a Raghu Rai, il più grande fotoreporter dell'India, che inaugurerà la sua mostra nel cortile del castello di Zungoli, aperto per l'occasione al pubblico. Sulla figura e sull’opera di Rai ospitiamo i testi di Paolo Speranza di Quaderni di Cinemasud e Renato Fischetti di Photoclub Werner Bischof.
Il “realismo poetico” di Raghu Rai - È stato quasi mezzo secolo fa, nel 1971, che Raghu Rai entrò con tutti gli onori nella Magnum, il Gotha della fotografia mondiale.
Umile com’era, e totalmente assorbito dall’impegno di fotoreporter nella e per la sua India (fino a rifiutare un importante incarico al “Times” di Londra), l’autore di autentici capolavori quali Faith & Compassion, Romance of India, My Land and its People, e tanti altri, dovette accogliere con genuina sorpresa la notizia che ogni fotografo sogna di ricevere, nel suo caso addirittura con l’imprimatur di Henri Cartier-Bresson, che vedendo una sua mostra a Parigi era rimasto letteralmente folgorato dalla potenza e dall’eleganza di uno sguardo del tutto nuovo e originale.
Undici anni dopo, il premio di “Fotografo dell’anno”, conseguito negli Usa per un servizio sulla rivista “National Geographic”, rappresentò il coronamento di una carriera straordinaria che, tuttavia, è ben lungi dal potersi considerare conclusa: l’amore per la sua India, la passione per l’arte fotografica (per la quale sacrificò giovanissimo una promettente carriera di ingegnere civile), l’impegno etico e sociale per la narrazione di uomini, luoghi e risorse naturali di una terra ricca di fascino come di contraddizioni, guidano ancora oggi Raghu Rai lungo i sentieri dell’immagine e della documentazione del reale. Una circostanza, questa, che conferisce alla mostra al castello di Zungoli di questo illustre fotografo originario del Punjab la dimensione di eccezionale evento culturale (per l’Irpinia, ma anche per l’Italia, dal momento che di Raghu Rai sono state finora ospitate nel nostro Paese solo due retrospettive, entrambe a Roma) e di prestigioso fil rouge con la tradizione ormai più che decennale del Premio Bischof – Il Flauto d’Argento, da sempre orientata a valorizzare, in un contesto di altissima cifra autoriale, la tensione civile e umanitaria dei più illustri fotoreporter, sancita dai recenti riconoscimenti tributati a Tano D’Amico, Luciano D’Alessandro e al compianto Mario Dondero.
Ammirando gli scatti di Raghu Rai avvertiremo tutta l’intensità di una civiltà intrisa di profonda spiritualità ed antica saggezza, coraggiosamente protesa alla ricerca di un futuro più avanzato, libero da un millenario retaggio di stridenti contrasti e da ormai insopportabili residui di sottosviluppo e miseria. Ed emergerà in tutta la sua evidenza, sotto il profilo più strettamente estetico, l’anacronistica dicotomia tra “arte pura” e riproduzione della realtà: la grandezza di Raghu Rai sta proprio nella suprema sintesi tra lo stile fotografico e quel rigore documentaristico (una sorta di “realismo poetico”, potremmo definire il suo imprinting) che ne hanno fatto fin dagli esordi il pioniere del fotogiornalismo in India e uno degli autori di immagini più apprezzati nel mondo.
*Quaderni di Cinemasud
PilgrImage: letteralmente, pellegrinaggio. Ho voluto partire da questa parola chiave poiché Raghu Rai si definisce un pellegrino. Ma questa definizione in inglese sembra sia stata creata ad hoc per lui. Infatti, pur lasciandola intera, la I maiuscola di Immagine ne crea un significato diverso, ossia pellegrino di immagini. La bellezza delle foto del suo lavoro sta nella gioiosa pittorica composizione in quei rettangoli straordinariamente comunicativi. Il suo grande rammarico, ha dichiarato in un’intervista, è di avere una sola vita a disposizione quando ce ne vorrebbero molte di più per fotografare il suo grande paese: l'India. In realtà, la gente può cambiare il colore della pelle, il tono della voce, le combinazioni della lingua ma resta sempre la stessa. Le problematiche sono sempre e ovunque identiche.
Il fotografo con il suo lavoro presenta giocoforza una parte infinitamente piccola rispetto a quanto succede quotidianamente nel mondo, e tuttavia esso risulta estremamente importante per rendere il notevole impatto emotivo e morale che possono trasmettere anche pochi scatti.
Stupenda, ad esempio, la serie di foto su Madre Teresa di Calcutta. Io prenderei come messaggio emblematico quella dove lei stringe al grembo un bambino. Se una foto può essere di aiuto a tutti quelli che hanno nelle loro mani il destino del mondo, io suggerirei di partire da questo scatto. Oggi abbiamo bisogno di persone che uniscano e non dividano. Di gente che trasmetta amore e non odio. Gli scatti esposti e pubblicati nel catalogo non sono stati commissionati ma scelti personalmente da Raghu Rai. Avevo chiesto al Maestro indiano almeno una foto di Madre Teresa, poi l'invito ricevuto dal Vaticano per partecipare alla canonizzazione di questa straordinaria creatura, evidentemente, lo ha fatto propendere per una serie di scatti a lei dedicati.
Lo spirito del “Premio Werner Bischof”, rappresentato da quel flauto che un bambino solitario suonava lungo i percorsi delle Ande peruviane, e che fu uno degli ultimi scatti del grande fotografo svizzero (pubblicato dopo che un incidente stradale gli aveva tolto la vita) ben si addice all'assegnazione di esso al fotografo indiano.
La comunità di Zungoli, per aver avuto e condiviso questo grande privilegio di ospitare Raghu Rai, certamente avrà aggiunto un tassello importante a un progetto artistico e culturale negli anni a seguire. Proprio al sindaco di Zungoli Paolo Caruso voglio rivolgere un ringraziamento speciale, che dedico anche a Raimondo Bultrini, corrispondente dall'Asia di "La Repubblica", a Paolo Speranza, direttore di “Quaderni di Cinemasud”, e a tutti gli altri che, ciascuno per la propria parte, hanno contribuito all'esito positivo dell' evento.
*Photoclub Werner Bischof