AVELLINO – Giovedì 3 ottobre sarà inaugurata, di spalla al “Campania Libri Festival”, alla biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone la mostra, curata da scrive, sulle penne stilografiche, dalle origini alla biro. I pezzi presentati non hanno la pretesa di raccontare tutta l’evoluzione della stilografica. Avremmo dovuto mostrare modelli particolari come la Pensar con il pistone di punta o la Astoria con il serbatoio a camera e, perché no, anche la Omas Extra con il pennino in asse per avere il doppio tratto di scrittura, la Zerollo, penna con il doppio pennino per utilizzare inchiostro di due colori senza cambiare penna, l’Asterope della Aurora, una capless, una senza cappuccio, per aprire e chiudere ka stilografica utilizzando una mano sola, avremmo dovuto parlare di tante case americane e dei loro modelli ancora oggi avveniristici, una per tutte la Eversharp con il pennino regolabile in ben nove spessori di scrittura.
Sono modelli che ai profani appaiono tutti uguali. Sarebbe stato necessario predisporre schede tecniche avviandoci però alla realizzazione di un evento per esperti. Si è preferito invece privilegiare l’aspetto sociale e l’idea mi è venuta quando mi è capitata tra le mani una vecchia foto che poi è stata scelta come motivo ispiratore e simbolo di questa manifestazione. È un’istantanea di 75 anni fa e mostra due ragazzini in Piazza Libertà ad Avellino.
La malattia, di cui soffro, da quando ero un bimbetto grosso modo della stessa età dei due ripresi in foto e che si manifesta con una passione incontenibile per le penne (stilografiche), mi ha fatto notare che dal taschino della giacca del più grandicello fa capolino il cappuccio di una penna stilografica messa lì in bella mostra proprio per farla ammirare. Questa la dice lunga sul valore, non in soldoni, che il proprietario riconosceva all’oggetto e della considerazione che si aveva per una penna. Ecco, molti degli oggetti in mostra potrebbero essere quella penna che fa capolino ed alla quale è legata una storia che potete conoscere, se ne avete voglia, leggendo la presentazione della mostra.
Spero che passando tra le vetrinette qualcuno esclami: “…quella, sì proprio quella, la tengo a casa chissà dove, forse in fondo ad un cassetto. Se non sbaglio dovrebbe essere quella di papà o forse del nonno. La voglio recuperare, non per farla scrivere, per metterla esposta nella cristalliera”. E qualcun altro potrebbe riconoscere la penna che lo zio d’America portò in dono quando venne in visita tanti anni fa o anche quella che l’ufficiale di collegamento americano lasciò al nonno quando, finita la guerra, ritornò in patria.
Spero che a qualche ragazzino più intraprendente possa venire lo sfizio di lasciare la biro e passare alla stilografica. Ce ne sono di super economiche, addirittura del tipo usa e getta e che, come quelle di pregio, impongono lo stesso stile di scrittura ben diverso da quello che, ahimè, consente la biro. La parola scritta è conseguenza immediata dell’equivalente pensata e appare in punta di penna (penso alla mia rubrica perduta) mentre la biro, anche per un errore di postura che nessun maestro sembra voglia correggere, permette alla mano di coprirla mentre la trasferisce sul foglio. Così si trasforma, non controllata, in una apparizione più che nella forma tangibile del pensiero. Molto in linea con le parole che oggi si usa proferire. Senza il controllo del pensiero.