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    22/07/2024

Dal rilancio della filiera agroalimentare nel Mezzogiorno uno sviluppo tra innovazione ed internazionalizzazione

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Economia_srm.jpgNAPOLI – Presentata oggi, nel corso di un convegno nella sede del Banco di Napoli, la ricerca realizzata da Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) dal titolo “Un Sud che innova e produce. La filiera agroalimentare”, secondo volume della collana di studi sui settori manifatturieri di punta del Mezzogiorno. Il convegno, dopo gli interventi introduttivi del presidente del Banco di Napoli, Maurizio Barracco, e del presidente di Srm, Paolo Scudieri, si è concentrato in particolare sulla filiera agroalimentare intesa come settore sintesi di tradizione e innovazione; un comparto che può crescere ed essere rilanciato, soprattutto sui mercati esteri, se posto al centro di un sistema logistico efficiente, di supply chain internazionali e sviluppando reti di impresa in un’ottica di sinergia produttiva e distributiva.

I risultati della ricerca - presentati da Massimo Deandreis, direttore generale di Srm, e Olimpia Ferrara, responsabile reparto Imprese e Terzo settore di Srm - hanno evidenziato un Mezzogiorno protagonista, che copre un’ampia porzione degli oltre 267 miliardi di euro di Pil generati dal settore agroalimentare italiano. Un Sud che conta il 45% delle imprese attive del comparto, il 43% degli occupati e che genera 5,7 miliardi di export. Ne hanno poi discusso nella tavola rotonda sul tema “Spunti e proposte per il rilancio della filiera agroalimentare del Mezzogiorno”, Sabino Basso, presidente Confindustria Campania, Annibale Pancrazio, vicepresidente Federalimentare e presidente Anicav, Maurizio Marson, direttore generale Agriventure (Gruppo Intesa Sanpaolo), Giuseppe Calcagni, presidente Besana Group, Piero Mastroberardino, presidente e Ceo Mastroberardino S.p.A., Biagio Mataluni, presidente Oleifici Mataluni–Olio Dante e Valentina Sanfelice di Bagnoli, amministratore delegato del Centro agroalimentare di Napoli.

Maurizio Barracco, presidente Banco di Napoli: “Oltre ad essere uno dei punti di forza della nostra economia, l’agroalimentare presenta caratteristiche e tipicità che sono conosciute ed invidiate in tutto il mondo. E’ quindi un punto di forza sul quale puntare e che va anzi rafforzato e adeguato alle diverse esigenze del mercato internazionale e che certamente va anche in parte ripensato  in un’ottica di valorizzazione del territorio del Mezzogiorno, possibilmente in una logica di filiera che vada ad integrarsi anche con settori diversi come il turismo e le specifiche Culture del nostro straordinario territorio.”

Paolo Scudieri, presidente Srm: “Con questa nuova ricerca sulla filiera agroalimentare Srm prosegue il ciclo di studi inaugurato lo scorso anno dedicato ai settori manifatturieri di punta del nostro Mezzogiorno. Dopo le analisi su Automotive e Aeronautico, Srm vuole continuare a portare alla luce un elemento di cui c’è poca consapevolezza nel dibattito sullo sviluppo economico del Paese, ossia che nel Mezzogiorno, nonostante la crisi, esiste un tessuto di imprese eccellenti che rappresentano il driver fondamentale per riprendere a crescere; l’agroalimentare con le sue 390mila imprese meridionali ed un export di oltre 5,6 miliardi di euro rappresenta in pieno il “Sud che innova e produce” con la sua voglia di crescere e competere”.

Massimo Deandreis, direttore generale Srm: “Raramente si mette in evidenza che, degli oltre 267 miliardi di euro di Pil generati dal settore agroalimentare italiano, circa il 30% è rappresentato dalle imprese meridionali; inoltre spesso si dimentica il peso ancora maggiore del contributo di “domanda” interna e di mercato del Mezzogiorno. È con questa ricerca, e attraverso la discussione attivata nell’ambito del convegno di oggi, che Srm vuole sottolineare i vantaggi competitivi che può offrire la valorizzazione e la qualificazione del tessuto imprenditoriale meridionale per il rilancio del settore agroalimentare. Innovazione, apertura internazionale, efficienza logistica. È da qui che occorre partire per disegnare lo scenario economico del Mezzogiorno e di tutto il Paese nel prossimo futuro”.

 

PRINCIPALI RISULTATI DELLA RICERCA

Il valore economico della supply chain alimentare nell’UE27 è rilevante, si stima che sono presenti oltre 30 milioni di occupati che hanno lavorato in quasi 17 milioni di imprese realizzando quasi 800 miliardi di euro di valore aggiunto. In Italia il settore agroalimentare si presenta come un settore ricco di opportunità ed economicamente significativo. L’Agricoltura presenta un valore aggiunto di 28,1  mld di euro pari al 2% della ricchezza complessiva ma che interagendo con tutti i settori ad essa collegati - industria alimentare, distribuzione, servizi e quindi l’indotto - raggiunge un valore complessivo di 267 miliardi di euro pari al 17% del Pil, in crescita di oltre il 10%, a partire dagli anni ’90. Circa il 20% della filiera (53,8 mld) è da attribuire alla produzione agroindustriale (agricoltura e industria alimentare) ed una fetta consistente è rappresentata dal Mezzogiorno (circa il 30%). Le altre principali componenti, sono rappresentate da circa 109 miliardi di valore della commercializzazione e distribuzione, 43,9 miliardi di valore aggiunto dei servizi di ristorazione, circa 24,2 miliardi di consumi intermedi agricoli e 17,9 miliardi di investimenti agroindustriali.

La produzione agroindustriale rappresenta un valore riconosciuto nel mondo per l’elevata qualità della materia prima e la capacità di trasformarla in prodotti di eccellenza. A tal proposito è bene ricordare che l’Italia nel settore agricolo si posiziona al 2° posto in Europa, dopo la Francia (35,8 miliardi di euro), con un Valore aggiunto pari al 14% dell’Ue 27 (200,1 mld di euro, anno 2012) ed al quarto posto in quello alimentare, con una quota pari al 10,9% del Valore aggiunto europeo, dopo la Germania (16,8%), la Francia (15,9%) ed il Regno Unito (14,8%).

Il settore agroalimentare, quindi, rappresenta una delle eccellenze produttive del Made in Italy e costituisce, insieme alla moda, l’emblema dell’Italian way of living. Rilevante è il valore del nostro brand all’estero: i prodotti alimentari di qualità sono il vero punto di forza che consente all’Italia di occupare il primo posto nella speciale classifica del Country Brand Index 2012-2013, insieme al patrimonio storico artistico e culturale. Dal punto di vista dinamico il settore ha mostrato nel tempo un sentiero di crescita piuttosto stabile rispetto ad altri settori ed ha evidenziato una notevole capacità di tenuta anche durante i periodi di congiuntura economica negativa, sia per quanto riguarda la produzione che per quanto riguarda i livelli occupazionali. Le migliori performance del settore, tuttavia, non devono far passare in secondo piano alcune criticità che si stanno accentuando negli ultimi anni. La riduzione del potere di acquisto delle famiglie ha innescato una forte contrazione dei consumi alimentari, determinando un calo dell’attività produttiva che solo in parte è stato compensato dalla crescita sostenuta delle esportazioni. Secondo le stime del centro studi di Federalimentare infatti, nel corso del 2012 la produzione agroalimentare si è ridotta dell’1,4% (in Ue +2%) e solo la dinamica dei prezzi ha reso possibile una crescita del fatturato complessivo di settore del 2,3%. Incide il calo della produttività del settore italiano (circa l’1% ogni anno nell’ultimo decennio) ed il gap esportativo che, nonostante una crescita interessante dell’export alimentare nazionale, ancora permane nei confronti dei principali competitor quali Francia e Germania. Quest’ultimo punto evidenzia come l’industria alimentare italiana sia ancora strettamente dipendente dalla debole dinamica della domanda interna. Oltre al calo della produttività dei consumi ed al gap esportativo, i punti di debolezza rilevati sono: polverizzazione dell’offerta (forte prevalenza di medie e piccole imprese a cui spesso si associano limitazioni in termini di risorse di capacità strategica); squilibri nella distribuzione del valore lungo la filiera (squilibrio nella catena del valore del sistema alimentare, che avvantaggia le attività legate al trasporto ed alla distribuzione, a scapito dell’agricoltura e dell’industria alimentare. Lo scarso spirito collaborativo porta le Pmi ad operare secondo una logica di concorrenza più che di collaborazione con le altre imprese del settore); scarsa propensione all’innovazione (nonostante l’attenzione all’innovazione sia crescente, le imprese presentano una bassa capacità di innovazione con un livello delle spese in ricerca e sviluppo decisamente contenuto, rispetto ad altri settori e rispetto alla media italiana); criticità logistiche (manca un sistema basato sulla progettazione di filiere logistiche agroalimentari dove vengono localizzate competenze, si sviluppino relazioni e siano forniti innovativi servizi materiali ed immateriali sia all’imprenditoria locale che ad operatori esterni, anche a livello internazionale. La disponibilità di efficienti terminali di trasporto è fondamentale per permettere al sistema agroalimentare italiano di creare valore aggiunto).

LE 10 CHIAVI DI AZIONE

Favorire la crescita dimensionale attraverso anche il contratto di rete; rafforzare l’interesse per l’innovazione; impegnarsi per una maggiore apertura all’internazionalizzazione; implementare un sistema logistico efficiente; migliorare la valorizzazione della qualità del prodotti italiani; favorire l’inserimento delle imprese italiane nella supply chain internazionale per cogliere le nuove correnti di sviluppo; rafforzare e consolidare l’interconnessione tra gli attori della filiera; migliorare la tracciabilità e la sicurezza alimentare; mantenere una lente puntata sul soddisfacimento dei nuovi bisogni dei consumatori; sviluppare una produzione che non perda mai di vista il concetto di sostenibilità ambientale.

 

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