AVELLINO – E dunque la sanità ha avuto il potere di mettere l'una contro l' altra le istituzioni del nostro territorio: Provincia e Regione. Ad accendere le polveri, infatti, la concomitanza di un Consiglio provinciale aperto ai sindaci e di una riunione indetta dal manager dell'Asl Avellino, Maria Morgante, che ha indotto i “contesi” consiglieri regionali (con l'eccezione del solo Francesco Todisco) a scegliere la sede di via degli Imbimbo a discapito di Palazzo Caracciolo: il tutto, ovviamente, con ampio corollario di polemiche più o meno fondate. Qualche mente saggia potrebbe eventualmente obiettare che, in un clima costruttivo, se proprio fossero state necessarie due riunioni, si sarebbero potuti concordare orari “sfalsati” tali da consentire ai parlamentari regionali la presenza ai due diversi momenti; o, finanche, realizzare una riunione congiunta Asl-Provincia-Regione visto l'argomento di interesse comune: ma forse qui saremmo arrivati alla vera “sapienza” e sarebbe stato troppo!
Dunque si discute di Piano sanitario aziendale, quel documento organizzativo della sanità della nostra provincia (escluso l'ospedale Moscati che si organizza da solo), licenziato dall'attuale management dell'Asl alcuni mesi or sono, corretto successivamente sulla base delle indicazioni della Regione, nuovamente rifinito sempre su “input” di Palazzo Santa Lucia e approvato definitivamente da qualche settimana. Un documento che ha scatenato le rimostranze di numerosi primi cittadini dell'Irpinia, in testa quelli dei Comuni di Solofra e Sant’Angelo dei Lombardi, le sedi degli ospedali “Landolfi” e “Criscuoli”, in misura minore, dello stesso Domenico Gambacorta nella sua veste di sindaco di Ariano Irpino e presidente della Provincia, e dei sindacati; lamentele che potrebbero essere addirittura tradotte in un ricorso presentato all'attenzione delle aule giudiziarie.
Motivo del contendere, fondamentalmente, i tagli operati alle cosiddette “strutture complesse” dei vari nosocomi irpini, le strutture, per intendersi, che possono fregiarsi della figura del direttore (l'antico primario); in questo senso, tutti i nosocomi escono, chi più chi meno, sostanzialmente ridimensionati dalle forbici della Morgante e della stessa Regione. Ad Ariano scendono al ruolo di struttura semplice la ginecologia e ostetricia, il servizio trasfusionale, la pediatria e la dialisi; a Solofra analogo destino colpisce l'ortopedia, la dialisi, la neurofisiopatologia e la patologia clinica (il laboratorio analisi), mentre in Alta Irpinia scende di livello la chirurgia (ma qui altri forti ridimensionamenti erano già stati realizzati in precedenza).
Non è facile districarsi nel ginepraio dei pareri contrapposti che si sprecano in queste ore; è certo come ormai si assista ad un reciproco arroccamento sulle proprie posizioni, cosa che ormai rappresenta un comune denominatore della vita della società italiana in cui i concetti di democrazia partecipata e di dialogo appaiono inevitabilmente tramontati. Da un lato infatti, documenti di tale importanza vengono elaborati e decisi in assoluta solitudine o, al massimo, nella concertazione fra pochi soggetti, senza neppure l'ascolto di chi vive le realtà del contatto con l'utenza (gli operatori sanitari per intendersi, oltre ovviamente agli stessi amministratori locali); dall'altro l'incapacità di molti primi cittadini a farsi carico di una valutazione complessiva del quadro nel quale ci si trova, limitandosi invece ad agire nella mera e talora bieca difesa del proprio “orticello”, con l'obiettivo di guadagnarsi il consenso e la riconferma dei propri concittadini.
Questa assoluta incomunicabilità sta verosimilmente portando la nostra provincia, ma anche altre realtà del nostro Paese, ad un'opera incontrollata di ridimensionamento dei servizi (in questo caso della sanità), che sta danneggiando la popolazione e soprattutto i più deboli; in sostanza stiamo subendo, e non governando, un processo che è inevitabile ma che potrebbe addirittura essere proficuo se venisse ben guidato. Come avemmo modo di scrivere circo un anno fa, l'idea di avere ospedali “sparsi” in tutto il territorio è ormai assolutamente da cancellare, per le seguenti ragioni: 1) la medicina si sta evolvendo con strumenti diagnostici e terapeutici sempre più sofisticati che vanno utilizzati con altissime competenze, le quali, a loro volta si maturano attraverso un uso continuo dei suddetti strumenti, da cui l'obbligo di concentrare in poche strutture, siffatte procedure; dal che deriva anche la conseguenza che ospedali non in possesso di tali caratteristiche possano diventare luoghi non solo inutili ma addirittura dannosi, dove si possa perdere tempo prezioso prima di ricevere una terapia efficace (si pensi al caso dell'infarto miocardico); 2) l'ospedale non può più essere il centro in cui si effettuavano ricoveri prolungati per esami e accertamenti vari, ma va ormai inteso come luogo in cui trattare urgenze/emergenze ovvero patologie di alta complessità.
Tutto questo ha già portato, in alcune realtà, ad un taglio profondo di numerosi plessi ospedalieri, spesso riconvertiti in strutture territoriali (le cosiddette “Case della salute”) gestite dai medici di famiglia e organizzate per offrire una grande quota di servizi diagnostici (dalle radiografie alle ecografie alle stesse tac e risonanze magnetiche) che decongestionano e non poco gli ospedali: è quanto ha voluto sottolineare in un recente intervento ad Ariano Irpino, il medico-parlamentare piddino, Gelli, che ha ricordato come nella sua Toscana il numero dei presìdi ospedalieri si sia più che dimezzato negli ultimi anni.
Ecco allora la necessità, da noi abbondantemente e ripetutamente sottolineata, di realizzare un processo sanitario nuovo che metta insieme “in rete” con funzioni diversificate tutto quanto è veramente utile sul piano sanitario e, in particolare, ospedaliero, nella nostra provincia. Un processo che possa vedere il Moscati come il luogo dell'eccellenza in grado di fronteggiare le situazioni più complesse con attrezzature di avanguardia e personale in grado di utilizzarle, un altro ospedale per i quadri patologici di media complessità (Ariano Irpino, probabilmente visto il territorio e quanto già esistente in questo nosocomio); una rete di punti di primo soccorso attrezzati per un'iniziale diagnosi e trattamento e immediatamente in grado di trasferire al centro più idoneo il paziente per la definitiva gestione del caso, con un percorso preferenziale, senza incorrere nella tagliola della ricerca del posto letto; un centro di riabilitazione con diversi gradi di complessità di trattamento e, magari nello stesso edificio dei posti letto di lungodegenza per quei casi (che in realtà potrebbero non essere molti nel caso di una rete efficiente) che lo richiedessero; infine un'adeguata assistenza territoriale trasferendo gli attuali, inutili presìdi di “continuità assistenziale” in strutture (già disponibili con pochi accorgimenti) dirette dai medici di famiglia in grado di garantire quegli accertamenti diagnostici di base che tanta parte hanno nell'intasamento dei centri ospedalieri, soprattutto di quelli di livello più alto.
Questo processo, però, avrà necessariamente bisogno di una concordia fra i vari anelli coinvolti, esattamente quelli che oggi si fronteggiano in maniera quasi truce, perché innanzitutto possa essere attuato e successivamente possa essere spiegato e trasferito ai cittadini come una conquista piuttosto che come una condanna.