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    03/07/2024

L'ombra di Banquo

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Politica3_pd_av.jpgAVELLINO - Banquo è un generale dell’esercito del re Duncan di Scozia; Macbeth, imparentato con Duncan, non esita a commettere una serie di sanguinosi misfatti e ne usurpa il trono. Nella tragedia shakespiriana, che da lui prende il nome, fa uccidere, tra gli altri, anche Banquo, colpevole di essere rimasto fedele al vecchio re. Nel corso di una serata, in cui, una dopo l’altra, sfilano le immagini delle sue vittime, quando gli appare dinanzi quella di Banquo, con il capo coperto di sangue per le ferite riportate, Macbeth, preso da un sacro terrore, esclama: sei tu pallida larva o cosa reale, sensibile al tatto come alla vista? L’apparizione del cadavere sanguinante ha ridestato in lui il sentimento dell’angoscia per la colpa commessa.

Da quella celebre scena l’espressione “L’ombra di Banquo” sta ad indicare la presenza improvvisa e sconvolgente di un passato che ritorna, di una colpa che rifiuta di essere dimenticata e che recalcitra, nella volontà di restare eterna nell’animo, contro le pareti della coscienza, fino a spalancarle ed esporre il reo al pubblico ludibrio.

Qualcosa di simile deve aver contribuito agli estremi ritardi che gravano sulla celebrazione del congresso da parte del Pd irpino. Un’ombra del passato, una cattiva coscienza delle omissioni commesse, una ferita mortale inferta a proprie responsabilità morali prima che politiche. Si è abbandonato per strada un elemento essenziale che legittima la presenza, nella vita di una comunità, di una certa idea politica, di una precisa scelta di campo. Il ricorso sempre più frequente all’espressione ‘popolarismo’ per indicare un progetto capace di stringere in unità le varie e contrastanti anime del movimento che diede vita alla creazione del Pd come istanza progettuale insieme di centro e di sinistra, offre un chiaro indizio circa l’identità dell’elemento vitale prima abbandonato e poi colpito al cuore. Si è lasciato cadere lungo la strada nientemeno che il popolo, l’essenza, l’idea, la legittimazione ad esistere di un partito democratico della sinistra.

Ora, va precisato che nel nostro Paese esistono almeno due popoli. Uno è quello, ristretto, delle élites patrizie, cioè della finanza internazionale, delle grandi banche, delle grandi industrie, dei detentori del potere reale: in Italia questo popolo possiede oltre l’ottanta per cento del reddito complessivo del Paese, delimita il campo d’azione del fondamentalismo economico, che è, di fatto, una teoria del mercato quale arbitro del bene e del male. In tale teoria, l’obiettivo di vita dell’individuo e della società diventa il profitto, il valore economico quello dominante rispetto agli altri, che sono destinati ad esserne assorbiti.

Gli effetti che ne derivano sono tragicamente presenti e visibili: le pandemie universali, le catastrofi cosiddette naturali (scioglimento dei ghiacci, i diluvi, il dissesto del suolo, l’inquinamento dell’aria che respiriamo, il riscaldamento del clima), che sono invece da addebitarsi all’onnipotenza del mercato, decisore in ultima istanza non solo delle scelte economiche ma anche di quelle politiche, del costume e quindi della morale pubblica. In breve, il suo esito finale sembra profilarsi come la distruzione delle possibilità di vita sul pianeta.

All’altro estremo troviamo il popolo dei diseredati: le famiglie prive di reddito e di casa, i barboni senza fissa dimora delle grandi città, coloro che hanno perso l’impiego e la casa e dormono in macchina o su una panchina, i disperati che attraversano il mare su gusci di noce per cercare un luogo in cui sopravvivere, i moribondi che non godono dell’assistenza pubblica e non hanno come acquistare almeno una medicina che li aiuti a navigare ancora qualche altro giorno nella tempesta dell’esistenza, insomma, i miserabili, i poveri che hanno un reddito uguale a zero.

Di essi aveva tracciato il profilo una inchiesta parlamentare sulla povertà che si era conclusa nel 1953 e che aveva identificato con il popolo meridionale, all’epoca afflitto da un abissale degrado rispetto a condizioni di vita sia pur minime, il soggetto storico della tenebra gravitante sul Paese. Da detta inchiesta il Parlamento italiano e le forze politiche al governo: il partito socialdemocratico, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e Dossetti, il partito liberale trassero la necessità di sviluppare e allargare le riforme adottate a favore del Sud d’Italia, cioè la riforma agraria e l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno.

In effetti, ancora e di nuovo oggi, occorre inserire il popolo meridionale tra i paria del Paese, accanto a quelli, già accennati, degli esclusi; sicché avremmo la situazione tragica e paradossale di un secondo popolo di emarginati che forma un unico grande insieme di individui, alcuni dei quali caratterizzati dal puro fatto di essere nati nella parte sbagliata del territorio nazionale. Chi nasce al Sud ha il destino segnato in partenza.

Non ci sembra che il Partito democratico abbia ipotizzato, se non a parole, la necessità di uniformare o almeno avvicinare le due Italie, intento come è a convivere nello stesso governo con Salvini e Renzi, con i delegati del primo popolo o con i suoi infiltrati. Ma un congresso che si svolge in un’area interna del Mezzogiorno non può tacere sulle stesse questioni sulle quali osserva un rigoroso silenzio la classe dirigente nazionale del partito.

Saremmo felici se, al di là di pur nobili istanze teoriche, emergesse dal congresso del Pd irpino una chiara e netta presa di posizione a favore del secondo dei due popoli da noi sommariamente delineati e, insieme, una altrettanto chiara indicazione delle cose da fare, di ciò che si dovrà pretendere come istanza valida per tutto il partito. Se ciò non viene fuori dal congresso Pd di una area meridionale del Paese, da dove potrebbe venir fuori? Dalla rivolta popolare da molti ritenuta imminente? Coraggio, il momento delle attese è finito, Banquo può essere esorcizzato.

 

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