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    03/07/2024

La bufala delle aree vaste e la svendita del ruolo di capoluogo

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Politica-Editoriale_la_statua_di_carlo_ii_dasburgo_e_la_torre_dellorologio.jpgAVELLINO – Sì, è vero, sulla questione Province e sulla sorte di Avellino capoluogo il Comune può fare poco, ma che dell’argomento non si occupi, seppure come semplice ragionamento, il neo eletto sindaco della città, che ha preferito non investire della questione il Consiglio comunale nel giorno della presentazione delle linee programmatiche sue e della giunta, questo è proprio sbagliato. Diciamo pure che quello compiuto da Foti è un grande errore. Ma come, siamo vittime di un raggiro da parte di un senatore di Benevento che ha costruito un dispositivo-imbroglio per dare alla sua città (al centro di una provincia che per estensione e numero di abitanti è destinata dal governo ad essere soppressa) il ruolo di capoluogo delle unificate Irpinia-Sannio ed il civico consesso ed il sindaco di Avellino non hanno nulla da dire?

Perché diciamo che nella relazione del sindaco non c’è nulla sulla questione capoluogo? Perché Foti – dando per scontato che ogni discorso sulla questione Province sia stato definitivamente chiuso dopo i decreti del governo Letta (il Parlamento non conta?) – ha pensato bene di partire con il suo disegno programmatico, tutt’altro che disprezzabile per tanti altri aspetti, con l’abolizione delle Province e del ruolo delle città capoluogo come dati già acquisiti. Nasce da questa rinuncia a lottare per il capoluogo il suo fermo convincimento sul ruolo della città nella nascente “area vasta” di cui Avellino sarebbe il centro e nel quale si procurerebbe un ruolo trainante (chissà come), ma soprattutto nell’intera provincia e, nientedimeno, in tutto il Meridione. Sarà con questa premessa davvero possibile quel salto verso l’Europa che farà di Avellino una città europea.

Il problema, però, è un altro. È la cosiddetta area vasta della quale in tanti parlano, senza tuttavia che si veda uno straccio di progetto vero da parte della Regione (ma è la Regione l’istituzione abilitata a vararlo?). In ogni caso come potrebbe un’area molto più piccola dell’attuale provincia partorire i mirabili destini, addirittura sopraregionali, del principale Comune della – ci si perdoni l’ossimoro – piccola ma…vasta area? Mistero. Mistero che non c’è chi chiarisca, soprattutto in Regione dove anzi si aggiunge confusione a confusione. Qualche esempio. Per l’ex presidente della Provincia di Napoli, Cesaro, il varo della provincia metropolitana dell’area partenopea si poteva fare soltanto a patto che la stessa inglobasse l’area aversana a Nord, l’area di Pagani e Nocera a Sud e il Baianese-Vallo di Lauro ad Est. Per i “cantori” dell’area vasta di Avellino, invece, occorre che la stessa comprenda…qualche fascia del Nolano da una parte e fino a Fisciano-Montoro dall’altra. In questo modo con Fisciano ci facciamo anche l’università pensa qualcuno che evidentemente poco sa dell’arcaico e profondo malumore del sindaco di Salerno, De Luca, che in modo poco elegante ha ripetutamente parlato dello “scippo” che i cafoni irpini hanno compiuto portando l’ateneo fuori dalla città di Arechi.

Possibile che non ci sia nel Pd chi sappia qualcosa in merito? E, soprattutto, c’è nel partito di maggioranza chi sappia spiegare qualcosa su chi e come istituisce, disegna, definisce compiti e stabilisce unità di comando delle mitiche aree vaste? Domanda non inutile vista la gran confusione che è stata fatta da (autorevoli) intervistati che hanno frullato diverse idee (area vasta, smart city, Grande Avellino) per ricavarne l’impressione che si potrà finalmente mettere mano, costruendovi, sul verde che ancora si ostina a separare l’abitato di Avellino dal centro di Mercogliano o di Aiello del Sabato o Atripalda e Montefredane (Avellino più grande? E perché no: basta che fate costruire sino a Bosco Magliano ed ai confini dell’Asi).

Insomma, tra aspettative, fraintendimenti e legittime aspirazioni di sindaco e giunta, sulla vicenda capoluogo vogliono tutti metterci una pietra (tombale) sopra. Se al Comune di Avellino sapessero che il ministro Delrio, pur di arrivare in tempi brevi alla soppressione delle Province, sta approntando un disegno di legge sulle aree vaste che servirebbero a ben poco se non a fare digerire il rospo della scomparsa dei vecchi enti (vedasi sul Corriere della Sera di oggi l’articolo a pagina 3 di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo) penserebbe forse diversamente alla difesa del capoluogo.

L’atteggiamento di Foti – spiace doverlo notare – si pone in continuità con quello del sindaco Galasso che di fronte alla tempesta capoluogo non riuscì a capire che le sue pur legittime aspirazioni di passaggio in Parlamento potevano in quel momento essere ripensate. Per non parlare del “fattivo” disimpegno del commissario che gli subentrò che si diede da fare per non aggiungere il Comune alla ricorrente (al Consiglio di Stato) Provincia di Avellino perché, suggerivano dall’intransigente ministero dei prefetti (dicastero Interno),  “tanto il Comune di Avellino non è interessato agli effetti del provvedimento”. Soltanto un leguleio di quart’ordine, che magari oggi è in primissima fila al Viminale, poteva separare gli interessi della Provincia da quelli della città capoluogo; città “non parte in causa” benché dal suo ruolo di capoluogo dipenda la sua economia, la stessa sua esistenza. Eppure il prefetto Guercio non si spostò dalla linea del Viminale.

In linea con tanto tracotante burocratismo si è dunque mosso il nuovo sindaco di Avellino che forse pensa davvero che l’area vasta quaggiù, ed una corsa verso l’Europa lassù, servano a ripagare Avellino della perdita del ruolo di capoluogo di provincia svolto per più di due secoli durante i quali si è modellata un’economia al tempo stesso impiegatizia e commerciale. Da mezzo secolo la città sta tentando la carta dell’industrializzazione. Processo buono se di accompagnamento, ma velleitario se concepito come vocazione naturale della città. Paradossalmente è molto più valida un’industria di trasformazione di pregiati prodotti agricoli che alimentano fabbriche (ce lo ricorda ogni sei, sette mesi il supernordico Zuegg, innamorato, a ragione, della bontà della nostra frutta). Ma questo discorso viene poco ascoltato perché (ecco il paradosso) viene ritenuto troppo legato al passato, ad un mondo agricolo che evidentemente abbiamo vissuto come un incubo dal quale siamo usciti da poco tempo.

C’è qualcuno che immagina cosa significherà per Avellino uscire dal contesto burocratico che ha alimentato la sua economia per più di due secoli? Siamo di fronte ad una trasformazione epocale. Perché non parlarne persino (ma l’opposizione su questo ha qualcosa da dire?) nel Consiglio comunale? Che se fa un po’ di calcoli si accorge che ci vogliono tre aree Asi (non fallimentari o in agonia) per avere gli stessi valori di prefettura, Provincia, Asl, ecc. messe insieme?

E stia attento il sindaco a non passare come quell’incredibile personaggio tratteggiato in teatro dal grande Petrolini che, nelle sembianze di Nerone, tranquillizzava i romani dopo l’incendio della caput mundi: “Farò la città più bella e più grande che pria…”. Quando Foti parla di Grande Avellino c’è, purtroppo, il pericolo che si stia per debordare dai verdi confini del piccolo capoluogo. Una furbata da parte di qualcuno, d’accordo, ma il Comune tenga i furbastri alla larga.

 

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