Più come il nevone del 1956 (che andò però ben oltre il mese di febbraio) che come la tempesta bianca di inizio dicembre del 1973, quando per tre giorni si rimase senza energia elettrica (niente pane, riscaldamento, illuminazione pubblica e privata) senza telefoni ed autostrada. La forte nevicata di questo inizio di febbraio sarà ricordata come quella dei due metri in Alta Irpinia, della paralisi in Avellino e della confusione nei comandi operativi.
Preso alla sprovvista malgrado le previsioni meteo, il Comune di Avellino ha impiegato quarantotto ore per mettere in campo uomini e mezzi trovando una improbabile sponda in un supercomando che si contraddiceva (ecco i soldi, basta soldi, soldi soltanto per le scuole. L’esercito? Sì, forse, non è necessario…).
Quando la nevicata è ripresa non si è più riusciti a recuperare il terreno perduto. La nevicata è stata eccezionale, è vero. Ma a monte della paralisi-città ci sono due fatti: nessun programma antineve (ma a che serve la Globalservice, ad incassare i soldi per i parcheggi?); nessuna collaborazione da cittadini e associazioni di base.
La contestazione degli amministratori condominiali verso l’inevitabile ordinanza del sindaco Galasso sulla necessità di intervenire sui marciapiedi e su grondaie e balconi (senza parlare dell’indolenza micidiale quanto autolesionista dei commercianti) ha fatto il resto. Una perla poi l’isolamento della Città ospedaliera con pale e mezzi fermi dell’impresa che sta adeguando la Bonatti proprio davanti al nosocomio avellinese. Quel che è accaduto dentro riguarda invece soltanto quella struttura.
Brutto segnale dalla città. Ed un monito per il futuro: i piani antineve si preparano d’estate così come ai terremoti bisogna pensare prima che ci siano scosse.