AVELLINO – A tre anni di distanza dai referendum sull’acqua pubblica le vicende recenti dell’Alto Calore impongono una seria riflessione sulle prospettive della gestione pubblica del servizio idrico. L’esito della consultazione referendaria era stato salutato con grande soddisfazione dai vertici societari che si erano detti sicuri del futuro affidamento del servizio. Gli eventi successivi, purtroppo, hanno dimostrato il contrario. La stagione post-referendaria non ha affatto esaltato le potenzialità della società di Corso Europa, che, anzi, soprattutto negli ultimi mesi, segna il passo: la prospettiva non è più quella di ottenere in tempi brevi la gestione del servizio idrico integrato, ma, piuttosto, quella di garantire gli stipendi dei dipendenti e, in definitiva, la corretta continuità aziendale. All’osservatore esterno sembra addirittura paradossale il rischio – sia pure remoto – del default di una società che da anni opera in un settore, quello idrico, che, grazie alle peculiari risorse del territorio irpino, presenta formidabili profili di sviluppo aziendale.
Soffermarsi sulle cause di una crisi così grave sarebbe un esercizio parzialmente inutile. È indubbio che le ragioni più remote risiedono essenzialmente nella incapacità (incoraggiata o meno dalla classe politica) di dare alla società un’organizzazione realmente aziendalistica, che fosse gestita da un management insensibile a condizionamenti politici e a scelte strategiche dettate da esigenze elettoralistiche, che in varie occasioni hanno sollecitato persino l’interesse della magistratura avellinese. E se è parzialmente inutile indagare sulle cause, è forse ancora più sterile dare la caccia agli autori ed ai mandanti di scelte strategiche che nel corso degli anno hanno di fatto affossato l’Alto Calore. Chi si duole oggi della struttura elefantiaca della società in termini di personale condivide la sua appartenenza politica con chi l’ha costruita ed ampliata a dismisura. Certo è che le lamentazioni del presente non possono porre rimedio alle inefficienze e le diseconomie del passato. Anzi, l’esercizio della critica sulle gestioni passate è ancora più inutile nella misura in cui il management aziendale non adotta le misure necessarie ad invertire decisamente la rotta.
In definitiva, al netto di ogni polemica, il dibattito sui destini dell’Alto Calore Servizi dovrebbe vertere essenzialmente sulle prospettive future, a partire da quelle economico-finanziarie. Da questo punto di vista il futuro sembra inquietante. I nuovi vertici societari hanno dichiarato che una parte significativa dei crediti vantati dall’azienda è di fatto inesigibile o, quantomeno, difficilmente esigibile. Ciò significa che la società di Corso Europa dovrà fronteggiare nell’immediato una emergenza che richiederà il ricorso al finanziamento dei soci o, in alternativa, al mercato del credito. Nel primo caso il management dovrà bussare cassa ai Comuni, che presumibilmente opporranno non poche resistenze. Tuttavia, la prospettiva del default dell’Alto Calore non dovrebbe lasciare insensibili e disattente le amministrazioni comunali, che – è bene ricordarlo – dovrebbero assumere gli impegni (ivi compresi quelli finanziari) necessari quantomeno a garantire la prosecuzione dell’erogazione del servizio. L’altra opzione praticabile (quella del ricorso al mercato del credito) presuppone che l’Alto Calore Servizi si doti di un piano industriale attendibile ed ambizioso e che la società adotti un piano di investimenti nel contesto di un’ottimizzazione del servizio, anche sotto il profilo finanziario.
In definitiva, questo secondo percorso si basa su un’apparente contraddizione in termini: per risolvere la crisi da indebitamento occorre indebitarsi ancor di più. In realtà, non è proprio così. I tagli ai servizi ed al personale possono considerarsi solo palliativi nel breve periodo, ma non possono assicurare un futuro affidabile all’Alto Calore. E, infatti, se i destini della società sono legati indissolubilmente all’affidamento ed alla gestione del servizio idrico, è indispensabile che fin d’ora si programmino gli investimenti necessari a garantire e potenziare il servizio. A questo punto, però, l’Alto Calore Servizi si troverebbe di fronte ad una scelta inevitabile: l’aumento della tariffa idrica. Peraltro, quella che sembrerebbe una scelta impopolare risponderebbe a due esigenze: ottimizzare il servizio; adeguare l’attuale tariffa al nuovo sistema di calcolo (il cosiddetto “regolatore tariffario”). Quanto alla prima esigenza, è un dato di fatto che nella rete idrica si registra un elevato tasso di dispersione. Ciò implica – ovviamente – un elevato spreco di risorse che si ripercuote inevitabilmente sugli utenti, che sono costretti a sopportare sospensioni del servizio sempre più frequenti, dovute, peraltro, anche alla vetustà degli impianti. Altrettanto urgente è l’esigenza di adeguare il calcolo della tariffa ai criteri previsti dal regolatore tariffario, che tengono conto anche dei costi del capitale investito. Nell’uno e nell’altro caso i costi del servizio sarebbero più alti di quelli attualmente praticati. E, tuttavia, le condizioni dell’Alto Calore e l’attuale regolamentazione di settore purtroppo non suggeriscono altre soluzioni.