AVELLINO – Uno dei primi compiti di un’amministrazione comunale è quello di garantire la gestione di un buon servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. Purtroppo se i cittadini comprendono, accettano, invocano un buon servizio di spazzamento e di raccolta dei rifiuti, proprio non si può dire la stessa cosa per la parte riguardante la fase dello smaltimento e, soprattutto, dell’impiantistica. Accettabile, quest’ultima, soltanto se “sistemata” lontana dall’opinione pubblica e dalle comunità locali che evidentemente ritengono sia sempre di altri (i vicini, ma vicini a distanza di sicurezza, o realtà lontanissime) il compito di doversi far carico di questo sgradevole compito.
Questo atteggiamento, purtroppo, condiziona non poco le amministrazioni e le forze politiche locali che naturalmente hanno non irrilevanti interessi elettorali cui guardare. Sono pochi, per non dire nessuno, a riflettere su una scelta quasi analoga che città e paesi si trovarono ad affrontare due secoli fa: la sepoltura dei defunti, questione che ogni civiltà, ogni popolo ha ritenuto di affrontare secondo idee, tradizioni ed abitudini aggiornati di volta in volta.
Fu Napoleone Bonaparte con una scelta allora più che audace a vietare l’usanza delle sepolture nelle chiese (nei cosiddetti ossari) e ad imporre in ogni abitato un’area destinata esclusivamente alle sepolture. Ci riferiamo all’editto di Saint Cloud (12 giugno 1804) che impose uno stravolgimento di alcune regole elementari di convivenza. L’editto napoleonico fissava anche regole sulla individuazione e la costruzione dei cimiteri. Quanti di questi furono realizzati subito dopo quell’editto? Quanti, tra quelli a volte piccolissimi che vediamo alla periferia di tutti i paesi, potrebbero oggi essere costruiti? Ad Avellino, a Poggioreale a Napoli, alla periferia di tanti Comuni dove ormai il vincolo di inedificabilità entro duecento metri dal perimetro del camposanto sta cedendo davanti all’esigenza di costruire alloggi popolari e villette proprio lì vicino (il Comune di Avellino chiese che il limite di inedificabilità venisse ridotto almeno della metà: vicenda degli anni Sessanta).
Ve lo immaginate oggi un Comune di fronte alla scelta di un’area dove seppellire i morti? Ecco, la guerra sulla localizzazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti ci rimanda alla scelta per i cimiteri. L’atteggiamento di cittadini, comitati, sindacati ed amministratori locali non ha mai prodotto in merito qualcosa di positivo ed appare oggi come una guerra di retrovia. Intendiamoci, possono esistere, ed esistono, casi particolari dove è opportuno tutelare ogni cosa, a cominciare dalla nostra catena appenninica (della follia delle trivelle e della ricerca del petrolio ci occuperemo in una prossima occasione). È vero, ad esempio, che l’Irpinia è proprio un pezzo di questo contesto. Il sistema montuoso irpino dà da bere ad oltre cinque milioni di abitanti. Può essere disinvoltamente attaccata questa realtà ambientale? Crediamo proprio di no. Ma i rifiuti (è vero non tanti) prodotti da chi abita in queste realtà dove devono finire?
Ed è difficile intanto digerire depositi di rifiuti proprio in queste zone. Poniamoci qualche domanda su come e dove vanno subiti i rifiuti: chi autorizzò il deposito di circa ventimila ecoballe attorno all’ex Cdr – non è mai esistito un obbligo per i Comuni che ospitano Cdr di tenere ai margini degli impianti rifiuti di ogni tipo; come e perché nacque l’incendio a ridosso del casello autostradale Avellino Est? Ed ancora. Che comitati, cittadini, sindacati ed associazioni si muovano per impedire che in un’area già così provata dal punto di vista ambientale come è appunto quella che da Pianodardine va fino ad Arcella (Cdr depuratore, Isochimica, scarichi fognari industriali, ecoballe lì dal 2008) si vada ad insediare anche un impianto per la selezione di rifiuti non inquinanti – si svolgerà soltanto cernita e selezione di imballaggi – è una scelta non contestabile. Piuttosto è vero, come sostiene il consigliere Battista, che l’azienda in questione vive di fatto – e qui siamo su un pinao più morale che altro – di fondi pubblici più che su mezzi propri?
Questa battaglia è più che legittima. Quel che non ci trova d’accordo è invece la presa di posizione degli amministratori comunali che si schierano sul fronte del no senza mai dire dove dovrebbero essere smaltiti i rifiuti di Avellino. E della stessa provincia se proprio vogliamo difendere un certo ruolo della città. È come se ai primi dell’Ottocento qualcuno avesse alzato barricate per impedire la costruzione del cimitero sulla collina che poi si è trovata ad essere lambita dalla strada Nazionale delle Puglie.
Lasciamo anche che comitati di lotta credano che all’epoca dell’insediamento del Cdr tutto si sia svolto nell’ombra, che l’impianto fu il risultato di loschi accordi sottobanco. Di tutto questo, raccontando fatti e situazioni, abbiamo già scritto nelle scorse settimane. Da quando quella decisione fu presa (mentre Avellino era piena di rifiuti che nessun altro sito voleva) ci furono amministratori che seppero farsi carico del problema e non parlavano a vuoto ma si impegnavano sui fatti. Il Cdr – che procurava soltanto impopolarità – fu accettato soltanto per mettere Avellino al di sopra di ogni patteggiamento regionale. E anche perché allora ci fu l’impegno a dislocare gli impianti sul territorio campano secondo la distribuzione della popolazione. “Patto” non rispettato soltanto da Salerno che subì una grande crisi di rifiuti. Ancora oggi Salerno cerca di risolvere la crisi oscillando tra promesse, polemiche, carte bollate ed umorali slanci avveniristici.
Foti ed i suoi colleghi di giunta credono di chiamarsi fuori da questa guerra senza pagare pegni? Sbagliano. Riflettano su cosa sarebbe Avellino senza il Cdr (oggi Stir) con intanto Comuni che chiedono, ed ottengono, il risanamento di discariche ed aree dove in passato Avellino trovò rifugio per i suoi rifiuti. I cittadini, ripetiamo, possono anche illudersi che dicendo di no a tutto ogni cosa si risolverà. Gli amministratori no. Loro, se lo fanno, distruggono la vita della città.