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    03/07/2024

Puc: la discordia è sulla perequazione

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b_300_220_15593462_0___images_stories_Politica-IlCommento_s_franc.jpgAVELLINO – Si avvicina l’appuntamento di venerdì, in programma presso il carcere borbonico di via Alfredo De Marsico con inizio alle ore 17.00, promosso dal nostro giornale per ricordare la figura di Antonio Di Nunno, il sindaco-giornalista scomparso il 3 gennaio dello scorso anno. Al convegno sul tema Dall’approvazione del Puc a oggi. Bilancio e prospettive. La città di Tonino Di Nunno tra utopia e realtà prenderanno parte gli urbanisti Vittorio Gregotti, autore del Puc, e Vezio De Lucia. Dopo un’introduzione di Antonio Gengaro, già vice sindaco con Di Nunno, interverranno il presidente della Provincia Domenico Gambacorta, il sindaco di Avellino Paolo Foti, l’assessore all’Urbanistica Ugo Tomasone. Sulla vicenda urbanistica in atto ospitiamo un intervento di Ugo Santinelli.

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Sembra banale come un sorso d’acqua la frase di Ugo Tomasone, espunta da un’intervista rilasciata al Mattino:”Attendiamo la fine dei lavori dell’autostazione anche perché a breve riceveremo la proposta dei privati per il nuovo piano attuativo per la Ni01”. Banale per nulla.

In apparenza scomparsa dall’agenda di Foti, l’attuazione della scheda Ni01 riemerge ora con un ordine degli addendi invertito. La scheda Ni01 riguarda la creazione, nel fitto del tessuto urbano di Avellino, di un parco urbano, a ridosso dell’autostazione e che inglobi quel che resta a cielo aperto del torrente San Francesco. Il parco urbano centrale, ai limiti dell’autostazione ideata da Petrignani, è il segno distintivo maggiore del Puc Gregotti-Cagnardi, il tentativo di ricostruire un cuore urbano, una mappa mentale che aggrumi percorsi ed esigenze di quanti frequentano la città, a sollievo del Corso Vittorio Emanuele, diventato la nuova piazza di Avellino. Un biglietto da visita, una paradossale porta d’entrata alla città, un sigillo iconico nuovo da affiancare ai monumenti storici: tante le definizioni possibili del segno più evidente lasciato dai due urbanisti.

Una corona di torri abitate costituisce il contorno del parco. Torri costruite da privati ai margini di un parco pubblico. La scheda Ni01 è la traccia di tanti passaggi delle consiliature Galasso e il tema sottotraccia della campagna elettorale che ha portato all’elezione di Paolo Foti. Dopo alcuni scoppi polemici, soprattutto durante gli anni di Galasso, con Foti ci siamo abituati al silenzio sull’argomento.

Gli anni sono passati senza risultati concreti, con la tavola Ni01 del piano stirata in tutti versi, come la classica coperta, poiché il passaggio dalla mappa ai progetti significa delimitare con precisione quanto terreno destinare alle torri e quanto al parco, prima ancora di chiedersi il come. Ad esempio, le superfici apposte da Cagnardi nel Puc sono da considerarsi lorde o nette, ed i servizi compresi o no? Franco D’Onofrio molto si spese, ed inutilmente, sul come, sulle impostazioni metodologiche. Perché la scheda Ni01 è molto di più di un’intuizione positiva nella disposizione urbana di una città: nel concreto è il banco di prova dell’intesa che pubblico e privato devono trovare per realizzare al meglio l’intero piano, con il pubblico nei panni dell’addendo principale. Quel che venne chiamato con il termine perequazione e che sarà uno dei temi caldi del convegno in onore di Antonio Di Nunno e Franco D’Onofrio.

Non più interventi delimitati dai confini delle singole proprietà che l’amministrazione accetta e certifica in base alla corrispondenza alle norme, ma il pubblico che sostiene e guida l’armonica intesa tra i privati, per il ridisegno altrettanto armonioso di interi pezzi di città. Cagnardi e Gregotti provavano a risolvere il vecchio vizio delle città italiane, la crescita sregolata del dopoguerra sul solo criterio della proprietà dei suoli, con giunte e Consigli comunali soggiogati.

La perequazione è dunque fallita? Meglio ancora: perché la perequazione è inattuata ad Avellino? La risposta potrebbe variare tra chi pensa che la perequazione stride con un modo di fare consolidato, decennio dopo decennio e porta come prova il fatto che le realizzazioni negli ultimi anni hanno continuato a riguardare, nel cuore della città, soprattutto addensamenti puntiformi, nelle aree asservite e, con funambolica interpretazione, trasformate in nuove aree edificabili. Perché stravolgere un modo di vivere lungo più di mezzo secolo, che ha modellato il comportamento di politici e dirigenti amministrativi della cosa pubblica, che ha costruito un mercato di domande ed offerte connotate una volta per tutte? Due milanesi come possono conoscerci ed imporre i loro modi di pensare?

E se Avellino si presentasse ormai come il motore di un’auto vecchia, intasato e inquinante? Se Avellino avesse bisogno di un nuovo modo di organizzare e vivere i propri spazi? Forse la perequazione non ha dato frutti perché il governo politico della città non poteva mettere in discussione origini ed interessi ed ha subito l’innovazione, accettata nei pubblici atti e boicottata nell’esercizio concreto. Il vecchio motore intanto continua ad inquinare.

A dispetto di altre dichiarazioni di Foti e Tomasone, aria pulita, trasporti pubblici efficienti e costruire in modo bello e sano sono facce di un’unica sfera che si chiama città e vanno considerate insieme, nei tempi politici e nei progetti. Senza la furbizia dell’occhio di riguardo per il privato e l’opera pubblica, o il disinquinamento ambientale, scaricati sui fondi pubblici.

Un enorme dubbio, grande quanto una torre, permane in chi confronta quel che dovrebbe essere il parco e il rione Baccanico che lo circonderebbe: il rione che mostra il peggio dell’urbanistica consolidata avellinese, un pezzo di città non racchiudibile nella definizione di quartiere moderno ed ordinato, con gli immobili che vivono per conto proprio, dalla viabilità incomprensibile e dalle lunghe ed incongrue cancellate, ricordo dei viottoli e delle proprietà agrarie di un tempo.

Tomasone riceverà una “proposta dai privati”, esercizio positivo di perequazione, tale da smentire decenni di urbanistica avellinese? Un San Tommaso laico vorrebbe constare per tempo, carte alla mano, e per San Tommaso laico intendiamo l’attenzione inesistente di forze politiche e sociali avellinesi, cieche all’opposizione e attente in maggioranza alle posizioni istituzionali. Occorrerebbe un bel dibattito pubblico.

Ma Foti e Tomasone si iscrivono ad un dolce e venefico andazzo nazionale, in auge Renzi, quello di risolvere la complessità delle questione delegandole ad uomini soli, meglio se dotati di poteri commissariali ed emergenziali.

 

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