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    03/07/2024

Il crepuscolo dell’Alto Calore

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La sede dell'Alto CaloreAVELLINO – Il crepuscolo dell’Alto Calore è iniziato. L’avevamo già scritto otto anni fa: la gestione del servizio idrico integrato in Irpinia sarebbe finita in altre mani. Sarebbe esercizio inutile elencare gli errori e le scelte scellerate che hanno segnato la storia recente dell’azienda di Corso Europa. La governance societaria, pur variando composizione nel corso degli anni, non ha mai saputo (o voluto?) affrontare una sfida ineludibile, quella di prepararsi a sostenere lo scontro economico e tecnico con i grandi gruppi societari che dopo la parziale liberalizzazione del mercato dell’acqua hanno di fatto monopolizzato la gestione del servizio in ampie zone del Paese.

E sarebbe esercizio fin troppo semplicistico attribuire alla mala politica ed alla classe dirigente irpina ogni responsabilità. La verità è che nessuno ha mai nutrito o espresso dubbi circa il futuro dell’Alto Calore, ed anche chi avrebbe potuto e dovuto averne ha preferito ignorare l’approdo di un percorso che non prevedeva (e non prevede) altre vie d’uscita: prima o poi la gestione del servizio idrico nell’intero Ato Calore Irpino sarebbe stata affidata ad un unico operatore economico; prima o poi la Regione, l’ente d’Ambito e tutti gli altri soggetti coinvolti avrebbero dovuto indire una gara pubblica per affidare il servizio e stabilire le regole del gioco; prima o poi le regole non sarebbero state più stabilite e calibrate sulla base delle dimensioni e delle caratteristiche dell’Alto Calore, ma, viceversa, sulle esigenze e le priorità di intervento connesse alla gestione del servizio sull’intero territorio; e, infine, prima o poi l’Alto Calore avrebbe dovuto stringere alleanze solide e durature con altri partner, in modo da poter competere adeguatamente con i “colossi dell’acqua” per ottenere l’affidamento del servizio.

Ora che il “poi” è sempre più vicino, l’incoscienza si è trasformata in un panico generalizzato (per certi versi anche eccessivo) che ha coinvolto gli addetti ai lavori, i politici, i sindacati, l’opinione pubblica. Di punto in bianco tutti hanno “scoperto” che nell’Ato Calore Irpino già opera un competitor scomodo (noi l’avevamo scritto otto anni fa), la Ge.se.sa. che gestisce il servizio in alcuni Comuni del Sannio (tra cui Benevento) ed è controllata da Acea, società leader in Italia nel mercato dell’idrico. E tutti si stanno dedicando ad uno sterile dibattito su un inutile quesito: fondersi con la società sannita in vista della partecipazione alla futura gara d’appalto o erigere barricate a difesa dell’Alto Calore e del suo diritto (che – a questo punto – sembrerebbe di origine divina) a conservare la gestione del servizio?

In realtà, chi si arrovella su queste due opzioni dovrebbe dare per scontata l’insostenibilità economica ed organizzativa di una proposta di gestione fondata sull’attuale (e sulla futuribile) struttura organizzativa, tecnica e finanziaria dell’Alto Calore,  e, viceversa, porsi altri interrogativi: ci sono alternative alla partnership con Ge.se.sa? E, in caso di risposta negativa, ci sono alternative alla fusione con la società sannita?

Partiamo dal primo quesito. Negli ultimi anni il mercato dell’idrico in Italia conosce una presenza sempre più massiccia di grandi gruppi societari che, in proprio o attraverso società controllate o partecipate, gestiscono il servizio in ampie fette del Paese. Leader in assoluto del mercato è proprio Acea. Nata come azienda municipalizzata del Comune di Roma, nel corso degli anni si è trasformata in una “multiutility”, che opera in vari settori economici, tra i quali l’idrico, dove conta un bacino di utenza ampissimo (8,5 milioni di utenti). Ancora oggi Roma Capitale (la nuova denominazione del Comune di Roma) detiene il 51% del pacchetto azionario. E, tuttavia, Acea, che da vari anni è quotata in borsa, ha assunto caratteristiche ben diverse dalle tipiche aziende pubbliche. Pur essendo soggetta ai periodici mutamenti della governance interna determinati dall’alternarsi dei vari schieramenti politici alla guida dell’amministrazione capitolina, Acea ha assunto caratteristiche sempre più privatistiche e sempre meno pubblicistiche, soprattutto quando opera in realtà territoriali che con il Comune di Roma non hanno nulla a che fare.

A ciò si aggiunga che, oltre ad una consistente quota di azionariato diffuso legato al mercato borsistico, la compagine di Acea vede come soci il gruppo Caltagirone (poco più del 15%), Suez Environmental (poco più del 12%) e la Banca di Norvegia (poco più del 2,5%). Sulla stampa e nelle tv locali qualche osservatore ha evidenziato la presenza dei Caltagirone che nell’immaginario collettivo evocano connivenze politiche (il celeberrimo “A Fra’, che te serve?”, rivolto da Franco Caltagirone a Franco Evangelisti, storico braccio destro di Giulio Andreotti, ed il legame recente con l’Udc sancito da una parentela illustre, quella di Pierferdinando Casini, ex marito di Azzurra Caltagirone) ed operazioni imprenditoriali spregiudicate.

Al contrario, pressoché inosservata è la presenza della francese Suez, che nel mercato idrico mondiale si colloca al secondo posto dopo Veolia Waters, contando 92 milioni di clienti in tutto il globo. In Italia già opera da anni, sia indirettamente (grazie alla partecipazione alla compagine di Acea), sia direttamente, attraverso altri partner o consociate. La sua presenza nell’organigramma di Acea è significativa e presumibilmente altrettanto rilevante è la sua partecipazione alla definizione delle strategie del gruppo. In definitiva, pur essendo una società a partecipazione pubblica, Acea è un operatore economico dotato di una struttura organizzativa ed economica tipica delle società private. In un contesto come quello irpino, la presenza di Acea probabilmente limiterebbe clientele, potentati politici e piccole rendite di posizione, che hanno portato l’Alto Calore sull’orlo del precipizio. E quelle che resterebbero sarebbero decise nelle sale della sontuosa sede di Piazza Ostiense, e non nelle anguste stanze di Corso Europa. Probabilmente si registrerebbe un incremento negli investimenti nelle infrastrutture e nella rete idrica, grazie all’ampia disponibilità delle risorse finanziarie ed all’agevole ricorso al mercato creditizio; altrettanto probabilmente, però, aumenterebbe l’importo della tariffa idrica.

In linea teorica non vanno escluse possibili alternative alla partnership con Ge.se.sa. e, quindi, con Acea. Nel mercato dell’idrico italiano il secondo gruppo è quello della Hera, che conta più di tre milioni di utenti. Rispetto al sistema delle municipalizzate “carrozzoni” politici, Hera rappresenta l’altra faccia della medaglia. In essa è confluito un notevole numero di aziende pubbliche che gestiscono il servizio idrico in Emilia Romagna, in Friuli Venezia Giulia, ed in altre regioni dell’Italia settentrionale. Rispetto all’alleanza con Acea quella eventualmente stretta con Hera costituirebbe una vera e propria rivoluzione copernicana.

Tuttavia, la società emiliana non sembra nutrire particolare interesse per un’espansione del suo raggio d’azione in Italia meridionale, così che appare remota l’eventualità di un suo intervento nell’Ato Calore Irpino. Da ultimo, resterebbe un’ulteriore interessante alternativa, che, però, non sembra praticabile perché è quasi impronunciabile il nome dell’operatore economico che la rappresenterebbe. Ci riferiamo all’Acquedotto Pugliese, acerrimo nemico dell’Alto Calore e bestia nera di chiunque abbia gestito il servizio idrico in Irpinia. In realtà, proprio la società pubblica pugliese costituirebbe una soluzione più funzionale alla soluzione dei problemi della gestione del servizio idrico irpino. Come Acea, già opera in vari Comuni dell’Ato Calore Irpino.

A differenza di Acea, però, sembra più impermeabile a speculazioni economiche e – più in generale – tendenzialmente più vicina ad un modello imprenditoriale pubblico (piuttosto che privato) della gestione del servizio idrico. Vero è, però, che, essendo totalmente controllata dalla Regione Puglia, potrebbe esercitare un’influenza egemone nella programmazione dello sfruttamento delle risorse idriche irpine. Inoltre, sarebbe necessario valutare la compatibilità – anche da un punto di vista giuridico – di un intervento dell’Acquedotto Pugliese al di fuori dei confini della Puglia.

Resta, infine, un ultimo nodo da sciogliere: la fusione è l’unico modello di partnership con Ge.se.sa.? In realtà, sembra più convincente la creazione di una società consortile, che consentirebbe alle due società di sopravvivere l’una distinta dall’altra, e, magari, di gestire il servizio idrico in modo parcellizzato, e, cioè, ognuna nei rispettivi territori di riferimento. Una simile soluzione scoraggerebbe anche eventuali operazioni egemoniche da parte di Acea e consentirebbe la sopravvivenza di un’azienda, la cui creazione ha rappresentato una pietra miliare nella storia recente dell’Irpinia. In questo caso, però, la governance di Alto Calore e quella di Ge.se.sa. dovrebbero definire i delicati equilibri che potrebbero creare le condizioni per far sì che le due aziende possano operare insieme senza pestarsi i piedi.

 

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