AVELLINO – Nel 1948 l’appello all’unità rivolto da Marx ai proletari del mondo fu, in sostanza, l’intuito geniale di un pensatore che, con secoli di anticipo, intravide nella circolarità europea della condivisione l’essenza dell’utile per i ceti meno abbienti, dei lavoratori, degli esclusi, di quanti non potevano che essere destinati ai margini dai potenti delle nazioni europee dell’epoca. Il genio del filosofo colse che vi sarebbe stato un mondo dove i poveri, al di là delle nazionalità, avrebbero dovuto perseguire identici fini per ottenerne conquiste in termini di dignità e di rispetto.
Quell’appello, negli anni 2000, si è trasformato in “populisti di tutto il mondo, unitevi”. Sta accadendo ora, questo, perché la cosiddetta “globalizzazione” lo consente. Le tecno-scienze, infatti, hanno consentito delle condizioni di trasformazione tanto profonde nella nostra società da aver reso del tutto obsoleti modi di vivere e di pensare ritenuti moderni e avanzati non più tardi di 20-30 anni fa. Da una parte, alla velocizzazione istantanea delle notizie e dei commerci non è corrisposta la circolazione dei diritti dei lavoratori, da un’altra gli impieghi sempre crescenti nella finanza, a detrimento di quelli industriali, hanno impoverito sempre più i lavoratori e arricchito maggiormente chi già in possesso di cospicui capitali. Questi due fenomeni fanno dire che tutto l’armamentario ideologico del ‘900 non solo è passato, ma è morto e sepolto, vuoi sotto i colpi della delocalizzazione industriale, vuoi dai costanti tentativi di svilire il lavoro e le retribuzioni da esse derivanti.
Una reazione doveva pur attendersi, comprensibile, ed essa è stata contenuta nella esaltazione della elegia dei “vaffa” e fatta esplodere con le bombe molotov messe nelle mani del nuovo presidente Usa. Tutto a vantaggio dei tanti che si sono preposti, consapevolmente o non, di far saltare l’intero establishment. Si desume da ciò che a nessuno è data certezza che i popoli siano alla ricerca di scenari di per sé costruttivi, men che meno che essi siano orientati da principi filosofici cari al determinismo finalistico; vi sono nei popoli, al contrario, solo pulsioni verso i protezionismi identitari e nazionalistici oggi rilevabili, tanto comprensibili, quanto ancorché distruttivi e, purtroppo, deleteri in assoluto per la pace nel mondo.
In questo, la paura per l’ospite, la cancellazione delle solidarietà, gli auspici acritici di ritorno ad epoche pre-globali fanno pensare che il nulla stia bussando alle porte. L’Italia, come parte del villaggio globale ode già i rintocchi delle forze politiche più rappresentative di questo nulla, la Lega di Salvini, con la sua esaltazione della “questione settentrionale” e dei particolarismi egoistici, il M5stelle, con messaggi estemporanei, spesso stupefacenti, ma che portano unicamente a lisciare il pelo alle proteste più variopinte, i simpatizzanti fascisti con radiose quanto strampalate evocazioni a passati storici che, viceversa, nel ricordo, dovrebbero trasmettere solo orrore per i tanti crimini già commessi e per i milioni di morti seppelliti.
È il loro momento e, con il vento in poppa, tutti insieme aspettano quel 4 dicembre per innalzare con il “No” al referendum la bandiera della confusione come cultura di Stato, la loro. Non hanno disegno compiuto, organico, ma troveranno modo di accomodarsi ai tavoli. Purtroppo, sappiamo di venire, noi italiani, da continuate disoneste pratiche, da mafiosità diffuse, da corruttele pervasive in dispregio della correttezza dei costumi e dell’ordine civile; da antica terra del diritto ci siamo da tempo trasformati per avviarci verso un Paese diventato in larga parte prodotto del vizio e degli abusi amministrativi, della incultura, di quella ignoranza di vita e di scuola di cui tanti, troppi governanti, si sono serviti per ammorbare e affliggere genti.
È messaggio di reazione, di ricerca di catarsi, a tutto questo dissolvimento, quello che si legge e arriva forte e chiaro nell’annunciare che i percorsi di discesa continuano. Risalire andrà ancor più per sentiero aspro, specie per il Sud, perché tornare a discutere delle condizioni di permanente sofferenza che in questa parte del Paese vi sono, con le sue antiche arretratezze e i suoi cronici disagi socio-economici, sarà sentito, come già ai tempi di Berlusconi-Tremonti-Bossi, ancor più orpello fastidioso, zavorra da allontanare. Ma al grido di “in Grillo veritas”, per ricordare “quell’altro” più noto, si dirà che il tempo per piangere ci terrà a lungo compagnia. Spero di sbagliare.