AVELLINO - La straordinaria vittoria del No al referendum di dicembre ha impedito lo stravolgimento della nostra Carta costituzionale, ha evitato una deriva “asiatica” delle nostre Istituzioni e ha consentito alla nostra democrazia di poter nuovamente “respirare”, di recuperare una prospettiva di valore. Il sistema politico si è rimesso in movimento: le dimissioni di Renzi, la scissione del Pd, la prospettiva di un centrosinistra alternativo e le fibrillazione nel centrodestra sono “segni del tempo nuovo che si annunzia”.
La maggioranza dei cittadini ha rigettato riforme che avrebbero consegnato tutto il potere ad un capo, così da ingabbiare la già difficile democrazia italiana. Si è inoltre impedita la riduzione degli spazi di partecipazione popolare e la mortificazione dei corpi intermedi, si è evitato di cancellare il principio di sussidiarietà, la possibilità di un autonomismo solidale. Un contributo significativo al successo del No è venuto, anche in Irpinia, dal variegato mondo cattolico che, come mai in passato, si mostra ormai estraneo al sistema politico ed, in particolare, avverte lo straordinario messaggio papale come lontano, alternativo al sistema dominante, alla ostentata potenza di vecchi e nuovi apparati.
Nella vicenda referendaria è riemerso in particolare il protagonismo della tradizione cattolico-democratica, una originale esperienza civile, troppe volte tradita, strutturalmente minoritaria, che ha saputo alimentare una significativa cultura di governo. I cattolici-democratici sono ormai dispersi, forse estinti, ma restano indissolubilmente legati alla stagione costituente e pertanto, ad un passaggio decisivo per la nostra democrazia, in larga parte hanno recuperato la verità intrinseca della loro tradizione. Protagonisti di generazioni diverse e di differente collocazione politica hanno riascoltato il richiamo di Dossetti alla “coscienza costituzionale”, al suo fondamento personalistico e comunitario.
Il voto del 4 dicembre riassume e giudica anche la contraddittoria vicenda politico-culturale degli ultimi anni, in particolare della cosiddetta Seconda Repubblica, non rovescia la clessidra della storia ma piuttosto apre ragionevoli speranze di futuro. Da tempo è finita, anche nel nostro Paese, la stagione ideologica. La crisi delle cosiddette grandi narrazioni della modernità ha trascinato con sé idee ed idealità: siamo passati in fretta dal “troppo al niente” della politica. Il tramonto dei partiti popolari, incapaci di essere alternativi a se stessi e corrosi da logiche di potere, ha indebolito le ragioni della rappresentanza, ha infiacchito la democrazia parlamentare, ha spezzato il rapporto tra istituzioni e società. Le democrazie sono erose dai nuovi dilemmi della modernità: i rischi di altri conflitti, il grido soffocato dei poveri del mondo, le questioni ambientali rappresentano alcuni interrogativi taglienti che rischiano di ridurre le democrazie ad esperienze malinconiche, ostaggio degli interessi di pochi e di nuove e vecchie paure. Di fronte a questioni epocali il dibattito politico italiano è apparso sempre più asfittico, condizionato dall’opportunismo e dal trasformismo di sempre
Gli italiani hanno fermato l’iniziativa di un governo non rappresentativo, una sorta di colpo di mano, perché l’hanno giudicata non solo temeraria ma anche riduttiva e datata rispetto alle sfide del nostro tempo. Le giovani generazioni in particolare hanno afferrato fino in fondo il senso della sfida: hanno bocciato senza appello la pessima proposta del governo ed hanno respinto la dittatura di uno scadente presente che annulla i pensieri lunghi, gli obiettivi differiti, dove il confronto politico è ridotto alla ricerca disperata della vittoria ad ogni costo.
L’opinione pubblica ha espresso la volontà di camminare ancora sul binario della Carta scritta dai padri costituenti. Serviranno certo dei cambiamenti, una manutenzione intelligente, ma in futuro non ci capiterà di scambiare le debolezze dei singoli o di partiti con i limiti della norma, di confondere “la crisi nelle Istituzioni con quella delle Istituzioni”.
Tanti progressisti, cattolici e laici, hanno sostenuto le ragioni del No: sono coloro che nel tempo hanno visto fallire i tentativi di ricostruite partiti “rispettosi e rispettabili, di rinnovare senza rinnegare”. Troppe volte ha prevalso una interpretazione mercantile del confronto politico. Si è abbandonato il campo alla semplificazione, all’agitazione di una frase, ad interessi “neoliberali”, spesso opachi, a cui in tanti si sono piegati.
Negli ultimi anni si è mostrata debole la rivincita della politica rappresentata dal Pd, un partito nato male da un mero accordo tra ceti dirigenti, nazionali e periferici, esausti ed autoreferenziali. Il dato quantitativo del Pd non si è mai trasformato in qualità della proposta, in un messaggio di ragionevole speranza per la gente ormai schiacciata dalla crisi. Le primarie, stigma del nuovo corso della storia, sono state al più una finzione, spesso un imbroglio, in genere la corsa sgangherata verso il vincitore di turno.
La vittoria mutilata del centrosinistra nelle elezioni politiche del 2013 aveva spianato la strada ad una nuova generazione, ad una leadership post-ideologica, pragmatica, a tratti spregiudicata. Il Pd di Renzi ha cambiato pelle, ha assunto i caratteri di un contenitore omnicomprensivo, una sorta di non luogo, un bivacco di gente pronta a tutte le rivolte ed a tutti i pentimenti. Il Pd ha assunto sempre più i caratteri di un “partito radicale di massa”, un soggetto liberal-conservatore, estraneo alle tradizionali culture popolari. Il risultato del 4 dicembre scorso ha seppellito questa effimera stagione: non sono possibili prove di appello quando si è piegata la Costituzione ad un disegno di potere!
Il No referendario può favorire una nuova fase della politica italiana, restituendo lo scettro ai cittadini ed impegnando i tanti protagonisti del campo progressista in una impresa comune Non si tratta di fondare il partito della Costituzione ma di riconoscere in essa la bussola per compiere un altro tratto della nostra storia democratica, per ricostruire soggetti politici credibili, per definire “alleanze costituenti”, per tradurre i principi della giustizia sociale, della dignità del lavoro e della pace in un programma condiviso, per impegnare classi dirigenti riconosciute.
L’obiettivo è quello di non arrendersi al populismo, anche a quello di governo, di costruire una matura democrazia dell’alternanza, di essere rispettosi fino in fondo della lezione di Aldo Moro, della sua idea di una democrazia compiuta. Si può, dunque, ricominciare restando fedeli a valori antichi: è l’occasione per provare a restituire alla politica autorevolezza e dignità, per non arretrare rispetto al futuro, per rifondare una comunità, una città terrena più solidale e più umana.
*Associazione Centrosinistra Alternativo