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    03/07/2024

Il tramonto di un sistema sempre uguale a se stesso

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AVELLINO – Sul risultato elettorale venuto fuori dopo il ballottaggio di domenica scorsa ad Avellino pubblichiamo l’articolo di Aldo Balestra apparso sulla prima pagina de Il Mattino di oggi, martedì 26 giugno 2018.

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«Vedrai, vedrai...». Ora che tutto è cambiato, la canzone di Tenco, risuonata a ottobre nel santuario di Santa Maria delle Grazie che domina Avellino, è tornata in mente a molti. Strimpellando con la chitarra, era stato il vescovo Aiello ad intonare lo struggente motivo sanremese. E dire che monsignore aveva appena scosso l’uditorio con parole ad effetto, nella città etichettata come «moscia»: «Per risollevare Avellino - aveva detto con amara ironia - ci vorrebbe il viagra».

Se l’urto elettorale del ballottaggio, che ha decretato l’elezione del primo sindaco grillino in una città capoluogo della Campania, avrà o meno l’effetto di risollevare Avellino lo dirà il futuro. Certo, in Irpinia la svolta elettorale viene in un momento di stallo e depressione, qui pochi slanci di concretezza e fantasia. Tutto come sempre, nella scia dello strapotere ex Dc, raccontato tante volte nelle gesta politiche dei protagonisti e nel «sistema» dei reduci, o di improbabili interpreti, di quello che fu il «clan degli avellinesi».

È fuori di dubbio, però, che quanto accaduto domenica scorsa al ballottaggio, con l’affermazione di Vincenzo Ciampi, rappresenti qualcosa di epocale dal punto di vista politico. Quest’avvocato cinquantenne dell’Agenzia delle Entrate, che nel 2013 non era diventato nemmeno consigliere comunale, non è stato eletto sindaco di una città qualsiasi, ma di uno degli ultimi feudi italiani del centrosinistra e soprattutto, ancor prima, della Democrazia Cristiana. Ad Avellino il tempo sembrava politicamente non dover mutare mai e gli elettori confermare sempre e comunque da cinquant’anni, pur nelle recenti tempeste nazionali a trazione giallo-verde, fiducia al centrosinistra e ai suoi candidati. E chi s’ostinava a pensare che le Amministrative non sono la stessa cosa delle Politiche, complice la legittima illusione del primo turno con il nettissimo vantaggio del candidato del centrosinistra Nello Pizza (43% contro il 20%, forte della incredibile spinta delle sue sette liste), s’è dovuto ricredere rispetto al verdetto dell’altra notte: M5S ha stravinto, sfiorando il 60% dei consensi ed imponendo un distacco di circa 20 punti al «candidato di Mancino e De Mita».

Ecco, bisogna ripartire dalla definizione con cui in queste settimane è stato etichettato Nello Pizza, uno stimato avvocato penalista, per cercare di comprendere cosa sia successo domenica, tanto da consentire a Ciampi di infliggere all’avversario un distacco di oltre 4mila voti. E sì che a marzo, alle Politiche, le avvisaglie c’erano state, con il dirompente pokerissimo di M5S: un successone, piazzati cinque parlamentari su cinque, tra cui Carlo Sibilia, ex del direttorio grillino, da poco diventato sottosegretario all’Interno e principale, entusiasta sponsor di Ciampi. Eppure il 53% ottenuto dalle liste di Pizza il 10 giugno sembrava un tesoretto difficilmente scalfibile, con la certezza in aula di 18 eletti, ben dieci dei quali reduci, però, dall’ultima, tormentata esperienza consiliare che aveva minato e indebolito - con fuoco amico - l’uscente sindaco Pd Paolo Foti.

In due settimane è successo di tutto, l’elettorato (qui l’astensionismo al ballottaggio ha pesato, ma non è stato dirompente) ha svoltato, bocciando Pizza e, soprattutto, i suoi sponsor politici. Non è bastata l’intesa De Mita-Mancino, non è bastata l’armata di galoppini del voto, non è bastato il vantaggio pingue del primo turno. Il travaso di consensi è stato evidente, violento, decisivo. Chi nella logica del voto amministrativo, all’insegna del «io voto il parente, io voto l’amico», aveva irrobustito l’ampia rete di garanzia approntata intorno a Pizza, l’altro ieri s’è come liberato, senza se e senza ma. E, secondo molti osservatori, più che scegliere Ciampi ha voluto disfarsi di ciò che, sempre evidente dietro il rassicurante volto dell’incolpevole Pizza, rimaneva testimonianza di un passato politico che si voleva confinare all’oblìo.

Insomma, una visione storicamente ombelicale del consenso politico ha incrociato stavolta il potente vento grillino del «cambiamento» e, insieme, la possibilità di dire basta a ciò che è stato sino ad oggi. Il tutto nella città moscia e ormai marginale, nel cui ventre molle ci sono i cantieri infiniti di metro leggera e tunnel, le poche prospettive di giovani con la valigia in mano, i volti stremati dei 133 lavoratori dell’Ipercoop che hanno perso il posto e ora vivono in tenda, i clamorosi e gravi esiti dell’inchiesta giudiziaria sul centro per disabili Aias della signora De Mita. Rabbia e sordo risentimento, in una città che pure non può liberarsi, con un voto, del gravame che pesa su larghi strati di società civile, ingrassati per anni all’ombra del potere manciniano e demitiano.

Epperò il fortino è caduto, in una notte di giugno. Disinvoltamente, molti che sono stati parte di un potentissimo sistema si sono rigenerati grillini alle urne, più «contro» che «per». Coerentemente, chi quel sistema ha sempre combattuto da posizione di minoranza ha trovato, finalmente, legittima rappresentanza nell’elezione di Ciampi. E, adesso, quelli che sono stati grandi big della politica nazionale accusano ferocemente il colpo. Il passato da presidenti del Consiglio, del Senato, più volte ministri, segretari della Dc appare sbiadito e, cosa politicamente più grave, senza il profilo di un successore. Storditi al pari di chi, in Parlamento e in Regione, ha lavorato all’operazione Pizza, illudendosi di esorcizzare il risultato delle Politiche. È servito a poco. Così come serve a poco urlare su Ciampi «anatra zoppa», sostenuto in aula da un numero di consiglieri inferiore alla rappresentanza di centrosinistra dove, probabilmente, pure spunterà qualcuno interessato al salto della staccionata.

La svolta colora di giallo Avellino e l’Irpinia. Le grandi bandiere bianche della Dc, e quelle rosse della Sinistra che fu, sono per ora riavvolte, pur persistendo un consolidato apparato di rappresentanza e di potere in molti posti chiave, soprattutto della pubblica amministrazione. E chi ha perso, in questo momento, abbaia inutilmente alla luna, proprio quella che il sottosegretario grillino, l’unico avellinese oggi al governo, immagina mai calpestata dall’uomo.

 

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