AVELLINO – In questa fase così triste della vita della città e alla luce delle pochezze di oggi che ci hanno portato alla ribalta della cronaca nazionale pubblichiamo, per un momento di riflessione e di analisi, un post del collega e amico Aldo Balestra nel ricordo dell’ex sindaco-giornalista Tonino Di Nunno.
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Lo penso spesso, mica solo da ieri. Mi ha insegnato i rudimenti del suo lavoro, il giornalista. Aveva cultura, ma non smetteva di conoscere. Non finiva di approfondire, studiare, inseguire il bello ma non l'effimero. Cercava la verità, aveva la schiena dritta, aveva dignità. Dignità.
Aveva idee e mica solo una. E quando da giovane aveva fatto politica le aveva espresse con coraggio, non aveva irriso l'avversario. Era fiero, per davvero. Si guardava intorno, sceglieva fonti di prestigio per saperne di più, per lui il clic era solo quello della Pelikanina che rigirava tra le mani quando studiava o leggeva. Si arrabbiava. Ma sapeva ascoltare. Rideva poco, ma quando lo faceva era un sorriso vero. Che diceva qualcosa.
Un giorno questa città, la mia, ebbe bisogno di lui. Non si propose. Glielo chiesero perché era l'unico che poteva farcela. Entrò nella stanza dove giaceva una fascia tricolore e capì, azionando l'interruttore della luce, che in tanti sarebbero andati all'incasso. Non si perse d'animo. Non ballò, non cantò. Consumò i gomiti sulla scrivania, perché doveva capire subito per agire bene. Risolse problemi, non accumulò altri debiti oltre quelli che aveva trovato e iniziato a pagare.
Ebbe un sogno: la sua città più bella, più pulita, più verde, più istruita, non più supina e sottomessa, meno pettegola, meno cattiva. Che sapeva ascoltare i suoi giovani, ma per dar loro un futuro. Ci provò, senza proclami, senza vanto, consapevole che per amministrare si rispettano le leggi, si insegue il dialogo istituzionale nel vero interesse della città.
Faceva il sindaco, non voleva altro per il dopo, sapeva dire di "no". Fece tanto, ospedale, parchi, piscina, quando passo davanti ci ripenso, e qualcosa sicuramente sbagliò ma solo chi non fa non sbaglia.
Viveva del suo, e dava agli altri del suo. Strappargli un'intervista era diventata un'impresa, anche per gli amici. Ma quando parlava, diceva qualcosa. Sì che lo diceva.
Si ammalò, lottò, non mollò poi, esausto, si arrese. Con Avellino nel cuore. Ma non lo aveva urlato da nessuna parte. Avevo un amico. Ce l'ho ancora.