AVELLINO – L'istituzione del corso di laurea magistrale in viticoltura ed enologia corre il serio rischio di diventare l'ennesima occasione persa per il futuro dell'Irpinia. Il braccio di ferro tra la Provincia di Avellino, promotrice del corso triennale, e l'Istituto Agrario De Sanctis, a prescindere da ragioni o torti, può minare la grande speranza, coltivata invano per anni, dell'Università in Irpinia, in un settore cardine per lo sviluppo come quello agroalimentare.
Probabilmente, per superficialità, si spera non in malafede, qualche mese fa all'atto della presentazione in pompa magna dell'iniziativa, con relativi investimenti, a Palazzo Caracciolo si sbagliò a non coinvolgere, nemmeno pro forma, il De Sanctis, ma ciò che è accaduto dopo, per le possibili ripercussioni per il futuro dei nostri giovani, appare ingiustificabile. Si è aperta una disputa su suoli e strutture da riqualificare in Contrada Serroni, porta Ovest del capoluogo, tra la Provincia, titolare di un finanziamento di 8 milioni di euro per funzioni essenziali al servizio dell'Università e l'Istituto che si è aggiudicato il primo round al Tar sulla questione della proprietà.
La facoltà di Agraria, senza i necessari servizi per le proprie attività e senza il consenso da parte di tutti i protagonisti della scena locale, potrebbe dismettere ciò che ha, faticosamente, costruito in questi ultimi 10 anni e disimpegnarsi. È interesse dell'Irpinia ottenere una laurea magistrale, anche se piccola, così prestigiosa? È interesse soprattutto del Francesco De Sanctis poter garantire l'avvenire ai propri allievi, permettendogli di continuare gli studi in agraria frequentando l'università della propria città?
A parte il fatto che di quegli studi potranno avvalersi anche i maturandi provenienti dalle altre scuole superiori, si può per una volta per l'interesse delle future generazioni guardare tutti insieme alla luna e non al dito? In tempi di vacche magre non si deve, assolutamente, sprecare l'unica, concreta, iniziativa di crescita per la comunità.
Si risolva con un rapporto di concessione amministrativa il contenzioso tra l'Istituto e la Provincia, tra l'altro due enti con finalità pubbliche. Civilmente si potrebbe prevedere, per esempio, che l'amministrazione provinciale realizzi e gestisca, per un certo numero di anni, le infrastrutture per l'università, e che quest'ultima si impegni a svolgere forme di collaborazione quali attività a titolo gratuito di orientamento per gli alunni del De Sanctis, di formazione, soprattutto, nel settore tecnico per i docenti, con la possibilità per questi ultimi di partecipare, entro determinati limiti, anche alla didattica di livello superiore, che si operi di concerto nella sperimentazione e nella pratica sui vigneti dell'azienda, preziosa risorsa della scuola e della città.
È evidente che gli investimenti dell'Ente Provincia valorizzerebbero, notevolmente, il patrimonio dell'Istituto e che non ci sarebbe nulla da eccepire viste le finalità di esclusivo interesse pubblico. Si potrebbe pensare, anche, all'istituzione di un comitato tecnico scientifico, ad una rete di raccordo con il territorio, coordinato dall'università, nel settore agroalimentare, dove tra gli attori quali Cnr, Confindustria, Camera di Commercio, enti locali, eserciti un ruolo fondamentale proprio lo storico Istituto Agrario.
In questo contesto desta meraviglia che rispetto alla folle idea di trasferire in Alta Irpinia proprio la scuola agraria nell'ambito del Progetto pilota, nessuno, forse per sudditanza, abbia protestato con lo stesso vigore della querelle universitaria nei confronti di chi vorrebbe deportare 137 anni di storia fuori dal capoluogo.
Come al solito da Piazza del Popolo nessuna voce contro l'ipotesi di depauperare la città di un patrimonio di cultura ed esperienza come l'Agrario a favore di Nusco o Sant'Angelo dei Lombardi né si offre un contributo per il diritto anche per i giovani avellinesi a studi universitari, coerenti con la vocazione del territorio, nel proprio luogo di vita. Nelle more il Comune potrebbe mettere a disposizione dell'Università la Casina del principe, Villa Amendola o il convento di San Generoso per scongiurare il pericolo che gli autorevoli professori Moio e Frusciante, già brillanti allievi del De Sanctis e del Prof. Federico Biondi, si ritirino a Portici, culla del meridionalismo e luogo di elezione di quel Manlio Rossi Doria che fu consigliere comunale di Avellino quando esisteva una classe dirigente degna di tal nome.