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    03/07/2024

Nella lezione di Tonino Di Nunno l’Avellino del futuro

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Antonio Di NunnoAVELLINO – “Il territorio dell’urbanistica” è il tema del convegno in programma domani pomeriggio, con inizio alle ore 17.00, nella sala blu dell’ex carcere borbonico organizzato dal nostro giornale in occasione del terzo anniversario della scomparsa del sindaco Antonio Di Nunno avvenuta il 3 gennaio del 2015. Il programma dei lavori, che saranno moderati da Generoso Picone, responsabile della redazione avellinese del Mattino, prevede, dopo l’introduzione di Francesco Barra, ordinario di Storia moderna presso l’Università degli studi di Salerno, e di Antonio Gengaro, vice sindaco nella giunta Di Nunno ed attuale collaboratore de L’Irpinia, gli interventi di Antonio Cagnardi, redattore del Prg di Avellino, ed Alessandro Dal Piaz, ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Napoli. Al prof. Dal Piaz, al termine dei lavori, sarà consegnato il premio in memoria dell’architetto Francesco D’Onofrio.

Sul significato della lezione lasciataci dal sindaco Di Nunno ospitiamo qui di seguito l’intervento di Gennaro Bellizzi.

*  *  *

Piansi copiosamente quel 4 gennaio di tre anni or sono in Cattedrale, e non me ne sorpresi. Ripensavo a quella telefonata, di una settimana prima, in cui Tonino, con la voce affannosa e interrotta da una tosse stizzosa e implacabile, mi aveva detto: “Gennà, pure in barella, verrò a ricordare Mimmo!”. Già, perché in quegli stessi giorni, dieci anni prima, se ne era andato anche Mimmo e sul manifesto che ne annunciava la tavola rotonda in memoria, c’era anche il nome di Tonino Di Nunno, l’emblema di un sogno, di una primavera sfiorita troppo rapidamente.

Tonino non era riuscito a venire come avevo sperato e quelle lacrime mescolavano il rammarico di non averlo potuto incontrare un’ultima volta e la sensazione amara di una pagina bella che si chiudeva davvero definitivamente; una pagina apertasi venti anni prima, in una domenica di quasi estate, preceduta da giornate intense di una battaglia, che appariva sovrumana solo quindici giorni avanti (al primo turno delle prime elezioni dirette del sindaco di Avellino, Sorvino  41 %, Di Nunno 26%) e che via via si ribaltava, scandita dal consenso crescente del mondo delle professioni, della cultura e della stessa Chiesa, e che ottenne l’inimmaginabile sorpasso due giorni prima, in via De Concilij, in una manifestazione indimenticabile, conclusa dall’appello appassionato di un Walter Veltroni ispirato e trascinante.

Ricordare oggi Tonino Di Nunno significa riandare ai giorni dell’anima alla città, lo slogan orgoglioso di quella stagione; significa ricordare ancora una volta un’amministrazione che fu quella in cui si riannodarono i legami profondi fra la cittadinanza e il palazzo comunale, in cui si cercò di dare regole nuove e condivise, prime fra tutte quelle urbanistiche, sfociate nella conclusione del lungo e sofferto cammino del Piano regolatore generale, il famoso Piano Gregotti-Cagnardi. È giusto chiamare, come è uso comune, quel tempo col nome del sindaco Di Nunno, ma sarebbe un errore grossolano provare a identificarne Tonino come il “demiurgo” e l’ispiratore unico. Quella fu, in realtà, la stagione in cui, anche a causa della grave crisi di credibilità dei partiti di quell’epoca (squassati dal “ciclone tangentopoli”), emersero le forze fino a quel momento tenute ai margini delle decisioni strategiche. In quel momento in cui appariva ormai inarrestabile l’avanzata del “berlusconismo”, si mossero insieme e fecero fronte unico forze provenienti dal cattolicesimo democratico (i Tonino Gengaro, gli Amalio Santoro, per citarne qualcuno) e quelle della sinistra riformista (i Mimmo Bellizzi, Pucci Bruno, Generoso Picone), a cui si unirono ampi strati della società civile. Tonino Di Nunno fu il terminale e la sintesi di quel movimento e non poteva esservi certamente personaggio migliore a occupare quel ruolo: conoscitore, praticamente unico, di tutti i meandri di Avellino e della loro storia, uomo “di strada” in continuo dialogo con tutti coloro che frequentassero le vie della città, giornalista serio abituato a verificare con correttezza ogni notizia, uomo politico formatosi presso la scuola democristiana, senza essere uomo di apparato, coscienza critica e propositiva allo stesso tempo, personaggio senza alcun interesse che non fosse il “Bene Comune” e soprattutto il bene di Avellino di cui amava in maniera talora quasi irrazionale ogni ambito, da quello culturale a quello sportivo (celeberrima la sua passione per le squadre di calcio e di basket).

E quella stagione, soprattutto durante il quadriennio 1995-1999, prima della tragica malattia che colpì Tonino, alla vigilia della ormai prossima, incalzante consultazione elettorale amministrativa, si ripropone come un emblema e un modello, certamente perfettibile, ma assolutamente ancora di attualità. La ricerca del “nome del sindaco”, che ancora viene vista come obiettivo primario,  nasconde quelle che sono invece le vere necessità di Avellino che andrebbero affrontate secondo uno schema probabilmente troppo semplice e perciò rigettato: 1) realizzare un programma serio, nel quale, identificare i problemi prioritari e dare loro una risposta concreta  (dare un destino certo alle opere incompiute o abbandonate; un commercio sempre più desolatamente abbandonato; lo stato manutentivo delle strade sempre più carente; le periferie sempre più isolate e staccate dal cuore cittadino; le risposte alle nuove povertà comprese quelle generate dell’immigrazione; il morire di ogni iniziativa culturale dedicata, in particolare al mondo giovanile, piena attuazione del Piano regolatore, solo per citarne qualcuno); 2) costruire un raggruppamento credibile, ma soprattutto coeso e coerente, pronto a sostenere il programma, non certamente quello raffazzonato, pronto a boicottare e pugnalare il proprio stesso riferimento, come il recente passato insegna; 3) identificare, solo a questo punto, una figura, il candidato sindaco, in grado di guidare il nuovo processo amministrativo; 4) ricercare un dialogo continuo con gli ambiti associativi e professionali, a cui chiedere proposte e collaborazione, in ragione delle specifiche competenze possedute; 5) cercare con ostinazione fonti di finanziamento che non sono molte, ma che comunque esistono e vanno inseguite con ostinazione (fondi europei, etc.); 6) esprimere, attraverso i comportamenti, una credibilità, tale da poter chiedere il coinvolgimento degli stessi cittadini, nella logica di quella meravigliosa espressione kennedyana (“Non chiedetevi cosa possa fare il Paese per voi, ma chiedetevi ciò che potete fare voi per il Paese!”): una logica tanto più necessaria in tempi in cui le risorse economiche si fanno sempre più ristrette.

In questo senso, la stagione “Di Nunno” può rappresentare un modello attuale di cui servirsi per poter restituire ad Avellino una dignità e un decoro, partendo  dall’amore e dallo spirito di servizio  che furono il patrimonio di Tonino e della sua squadra.

 

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