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    03/07/2024

Il Vangelo secondo don Matteo

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Matteo Renzi e Matteo SalviniAVELLINO – Sulla vicenda politica nazionale alla luce della crisi in corso ospitiamo l’intervento di Lucio Garofalo.

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Ieri pomeriggio, durante il dibattito al Senato, Matteo Renzi ha sbugiardato Matteo Salvini citando alcuni versetti tratti dal Vangelo. "Secondo Matteo", ovviamente! Ora, a parte le battute ed uscendo fuori da ogni metafora, i due burattini di nome Matteo (Renzi & Salvini), protagonisti del teatrino politico nazionale, non mi pare che esprimano la stessa cosa dal punto di vista di un'analisi marxiana, ovvero sotto il profilo della classe sociale di riferimento. Entrambi sono senza dubbio due risvolti della stessa medaglia.

Il primo, Renzi, è l'espressione del Capitale monopolista delle multinazionali, del grande Capitale cosmopolita, anonimo e globalista dell'alta finanza internazionale: guarda caso, il Partito democratico, dopo il disastroso crollo del ponte Morandi di Genova, si arroccò in una posizione di difesa strenua delle concessioni delle autostrade italiane al gruppo multinazionale Benetton, e si  schierò contro la minaccia di revoca paventata dal governo giallo-verde. Il secondo, Salvini, è il referente della media e piccola borghesia nazionale, rappresenta gli interessi materiali e le franchigie residuali della piccola e media imprenditoria del Nord Italia. Per cui entrambi i Matteo non mi pare che incarnino esattamente la medesima cosa.

Sotto il profilo strategico-politico suppongo che lo stesso Lenin avrebbe valutato diversamente i due esponenti politici in funzione proprio della strategia di lotta delle classi lavoratrici. Da parte mia, ritengo che, in questa fase storica, gli scopi e gli interessi concreti di gran parte delle masse popolari e lavoratrici del nostro Paese, coincidano con una battaglia ed una rivendicazione a netto favore del ripristino di quella sovranità popolare, democratica e costituzionale che va ristabilita sul terreno nazionale. Senza mai smarrire, né sminuire quella prospettiva rivoluzionaria di respiro internazionale ed internazionalista. Quindi, nell'ottica dell'internazionalismo proletario e comunista, e non del "globalismo" capitalista, mercantile e neoliberista, di cui il Matteo toscano e "democratico" (vale a dire quello "buonista") è tra i referenti politici di maggior rilievo.

Per quanto mi riguarda sono entrambi assai detestabili. Eppure, il Matteo da Rignano sull'Arno si è rivelato di gran lunga l'esemplare peggiore fra i due. E non per gli aspetti più folcloristici (diciamo così), minimalistici ed esteriori, bensì per altri motivi, assai più solidi e concreti. Entrambi li abbiamo visti all'opera in azioni di governo: Renzi ha dimostrato di essere il peggiore dei due proprio con i fatti, i provvedimenti e con le misure adottate sul terreno delle politiche sociali ed economiche, rivelatesi antipopolari ed ostili ai lavoratori: il Jobs Act, lo Sblocca Italia, la Buona Scuola e via discorrendo, tutte quelle "schiforme" che hanno smantellato ed azzerato in pochi anni i diritti e le tutele sociali residuali delle classi lavoratrici del nostro Paese.

Aggiornamento del 22 agosto, ore 18.47 - La caduta del governo giallo-verde, al di là delle simpatie e delle opinioni politiche di ciascuno di noi, non è da salutare con troppo entusiasmo poiché, in questo momento, non esiste un'alternativa politica valida, tanto meno funzionale agli interessi delle classi lavoratrici. In qualche misura si è replicato il copione delle manovre che nel 2011 fecero cadere il governo Berlusconi, favorendo l'ascesa di Monti a Palazzo Chigi. Con le conseguenze nefaste che ben sappiamo: su tutte, cito la "riforma Fornero" e otto anni (!) di austerity. Politiche che hanno generato in Italia oltre 5 milioni di poveri assoluti. Ed è sempre l'austerity il "modello" di politica economica alla base delle privatizzazioni e dei disastri (anzi, delle stragi) come il crollo del viadotto di Genova del 14 agosto 2018.

La linea perseguita dal governo Monti e dai vari governi targati Pd (soprattutto Renzi) è stata costellata da una sequela di costrizioni e ricatti dettati dall'alto per imporre nel modo più tassativo quelle controriforme ostili ed impopolari sofferte in Italia negli ultimi anni. Il solo fatto che il governo giallo-verde non sia stato succube dei diktat di Bruxelles e della Bce, è certo da ritenersi un segnale incoraggiante, nella misura in cui si è interrotta la politica decennale e mortifera dell'austerity che ha imperversato negli ultimi tempi. È questo il modo più corretto e realistico di ragionare e di analizzare i fatti nella loro cruda e nuda testardaggine, e non secondo i nostri più intimi desideri, né in base alle nostre aspettative o simpatie personali. Almeno ciò è l'approccio più serio e ponderato per quei comunisti più sinceri e coerenti, e non faziosi, né dogmatici. Invece, per i fantocci e i clown "sinistrati", che non si degnano di leggere la realtà con una lente di sincerità intellettuale, bensì la deformano a proprio piacimento, il discorso è diverso. Ai "compagnucci" che sbraitano contro il "mostro leghista" mi permetto di ricordare che "governi tecnici" imposti dalla Troika (in uno stile alla Monti) sarebbero più deleteri di un governo con Salvini. Un'eventuale "sterzata a destra" si traduce nei contenuti e nelle priorità trascritte nell'agenda politica, e non nei simboli di partito. Altrimenti, mi si risponda come mai le peggiori politiche di tipo socio-economico degli ultimi anni sono state realizzate sotto l'egida di quei partiti che, almeno in teoria, e cioè verbalmente, si dichiarano "di sinistra". Credo che i simboli e le etichette formali non contino più delle azioni concrete e dei fatti, in politica come in altre dimensioni e in altri settori della vita sociale. Mi riferisco non solo al Pd di Renzi e Gentiloni, oggi di Zingaretti, bensì anche ai governi presieduti da Prodi (nel 1996 e 2006), appoggiati da Rifondazione ai tempi di Fausto Bertinotti. Purtroppo, si sa che "la storia insegna, ma non ha scolari", come ci spiegava Gramsci.

 

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