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    03/07/2024

Il trentennale/Il ricordo di Vincenzo Barra, il senatore galantuomo

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Vincenzo BarraAVELLINO – Sabato prossimo, 22 ottobre 2022, è in programma presso la sala blu dell'ex carcere borbonico, nella ricorrenza del trentennale della scomparsa del senatore Vincenzo Barra (1915-1992), il convegno organizzato dal giornale L'Irpinia sul tema "Vincenzo Barra e la politica irpina del secondo dopoguerra". Qui di seguito ospitiamo un intervento di Stefano Sorvino.

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Il senatore Vincenzo Barra (1915-1992), espressione della migliore borghesia professionale, è stato a lungo impegnato nella politica irpina – dal dopoguerra sino alla fine degli anni 70 – rivestendo svariati ruoli di rilievo amministrativo e politico nelle file della Democrazia Cristiana.

Barra, figlio di un dirigente prefettizio ed esponente di una illustre famiglia avellinese, avvocato amministrativista, fu da giovane segretario provinciale della Dc irpina di “fede sulliana”, presidente della Provincia e dell’Ospedale e senatore del collegio di Avellino per una legislatura e mezzo (1970-76).

La sua gioventù fu caratterizzata dalla valorosa e sofferta esperienza di combattente nella Seconda guerra mondiale: sottotenente dell’eroica Divisione “Acqui”, sfuggì all’eccidio nazista di Cefalonia ma subì una lunga e durissima prigionia nei campi di concentramento tedeschi.

Del senatore Barra, di cui si celebra a giusto titolo il trentennale della scomparsa, conservo un ricordo diretto e indiretto che tende naturalmente a sfocarsi per il trascorrere del tempo ma che, sia pure in modo frammentario, resta ancora nitido e vivido per alcuni tratti essenziali della sua personalità.

La sua figura resta impressa nella mia memoria quale pezzo autorevole di una classe dirigente protagonista indiscussa – negli intensi ed operosi decenni della prima Repubblica – dello sviluppo e trasformazione socio-economica dell’Irpinia, un tempo provincia depressa del Mezzogiorno interno, dalla ricostruzione sino ai movimentati anni del post-terremoto.

Vincenzo Barra è stato un esponente significativo della gloriosa storia politica irpina, un “notabile” di ottima cultura nell’accezione migliore e positiva del termine, un galantuomo integerrimo, oltre che un professionista stimato di indubbio spessore morale, di riconosciuta distinzione e rettitudine, connotato nelle sue pluridecennali esperienze politiche ed istituzionali da riconosciuto equilibrio, rigore, spirito di servizio e senso delle istituzioni. Egli non è stato mai fazioso nonostante la Democrazia cristiana di quei decenni, dopo la prima fase notabilare dei “costituenti”, fosse attraversata dalla accesa contrapposizione tra la storica corrente di Fiorentino Sullo e l'emergente corrente della sinistra demitiana, divenuta poi maggioritaria, la cui dialettica – in definitiva – risultò anche funzionale alla ricchezza e vivacità del dibattito politico ed all'accrescimento delle posizioni del partito, largamente radicato e prevalente in Irpinia.

Confluisce nella mia personale memoria il ricordo della grande considerazione e stima che nutriva nei suoi confronti mio padre Guido, il quale intratteneva con Vincenzo Barra rapporti di amicizia e cordialità apprezzandone il profilo serio e signorile.

L’avvocato Barra, rispettato esponente del vecchio gruppo “sulliano”, più volte candidato alle elezioni politiche e subentrato al Senato nel 1970, dopo sei anni di operoso mandato parlamentare, cedette nel 1976 – assecondando il processo di rinnovamento – il seggio senatoriale di Avellino al giovane Nicola Mancino, presidente della Regione Campania, futuro leader nazionale ed esponente di punta della sempre più forte corrente di “Base”, sinistra politica della Democrazia Cristiana (a cui Barra non era organico).

Barra, primo dei non eletti nel 1968, subentrò in Senato nel 1970 e fu riconfermato nel 1972: la conquista del collegio senatoriale della città, pur a maggioranza democristiana, risultava impegnativa in quanto il partito dello scudo crociato registrava nel capoluogo e nel suo hinterland percentuali inferiori rispetto a quelle delle aree interne – come l'Alta Irpinia e il Beneventano – in cui era ancor più radicato.

Due considerazioni: all'epoca, con un Parlamento costituito da veri “eletti” e non da “nominati”, la candidatura politica non era mai improvvisata ma costituiva piuttosto lo sbocco di una articolata gavetta, o più elegantemente, di un “cursus honorum” di prolungati incarichi amministrativi e politici di livello territoriale, attraverso cui si formava e si selezionava la classe dirigente. E così fu anche per Barra che, oltre a coltivare una solida base professionale, era stato dirigente e segretario provinciale del partito, consigliere e presidente della provincia, presidente dell'ente ospedaliero, conseguendo risultati e riconoscimenti.

In secondo luogo, in quell'epoca di politica “reale” e non “virtuale”, il mandato parlamentare – sia di un collegio uninominale al Senato che di un seggio alla Camera conquistato con le preferenze – costituiva un'attività di rappresentanza effettiva e laboriosa, sia sotto il profilo del collegamento anche individuale e del rapporto costante con gli elettori e le loro esigenze, sia sotto il profilo dell'impegno parlamentare profuso in aula e nelle commissioni.

Successivamente, dismessa la politica attiva, l'avv. Barra esercitò per sette anni - dal 1977 al 1984 - con equanimità e competenza, le allora importanti funzioni di presidente del Comitato regionale di controllo (Coreco) di Napoli sugli atti degli enti locali, organismo amministrativo di particolare rilievo e delicatezza, prima della riforma del 1990 (che ne ridimensionò i compiti) e della successiva soppressione. E qui subentra un paio di personali ricordi, assai risalenti ma impressi nella mia memoria giovanile.

Mi è capitato più volte, agli inizi degli anni 80 - quando frequentavo la facoltà di Giurisprudenza di Mezzocannone - di incontrarlo, inconfondibile per la sua distinta canizie, seduto nella corriera per Napoli che utilizzava abitualmente per raggiungere la sede del comitato di controllo, scendendo alla fermata di via San Giovanni Bosco, dove era ubicato l’organismo di cui era presidente.

In quelle occasionali ma ripetute circostanze, talvolta riuscendo a sedere nella stessa fila, ho avuto il privilegio di intrattenere con lui prolungate conversazioni – che per me, giovane studente universitario, risultavano stimolanti e formative – sui temi di diritto amministrativo, sulle problematiche degli enti locali in trasformazione, sui controlli di legittimità e di merito, sulle garanzie di legalità nell’amministrazione, sulle caratteristiche della professione forense ma anche sulle tematiche politiche di attualità, acquisendo preziose lezioni di esperienza e saggezza.

Come ultimo significativo ricordo mi è rimasta impressa una calda ed interessante giornata di fine giugno 1982, trascorsa al Palace Hotel di Sorrento in occasione di un interessante convegno sulla figura del “Commissario di governo nelle Regioni a statuto ordinario” – tema all’epoca controverso e scarsamente esplorato nel dibattito giuspubblicistico – organizzato dall’Anfaci, associazione dei funzionari prefettizi, con la Regione Campania e l’Università di Napoli, a cui partecipai, accompagnandovi il prefetto di Avellino di allora, Carmelo Caruso. Ricordo tra gli illustri relatori i professori Sabino Cassese, Giuseppe Abbamonte, Michele Scudiero, Massimo Villone, il senatore Nicola Mancino, con la partecipazione dell’allora presidente della Regione Emilio De Feo.

Alla giornata di dibattito (sabato 29 giugno 1982) seguì una piacevole serata di gala, con cena sociale ed intrattenimento musicale, e in quella occasione avemmo modo di intrattenerci a lungo con Vincenzo Barra, conversatore e commensale amabilissimo, alternando svariate riflessioni e commenti sui contenuti del convegno ma anche sui temi dell’attualità e della politica.

 

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