AVELLINO – Il prof. Ricciardi, Istituto Superiore di Sanità, sostiene che “nel Sud Italia, in Campania, come anche nell’area metropolitana di Napoli, non solo si vive 4 anni in meno rispetto al Nord, ma quasi 7 anni in meno rispetto all’area più avanzata d’Europa, la Svezia. È come vivere in due emisferi differenti. E si pensi che se una donna, al Sud, vive in media 84 anni, gli ultimi 16 anni li trascorre in sofferenza, mentre in Svezia questo numero è solo di 5 anni”.
Occultare questo è spingersi alla consapevole finzione della ingenua ignoranza, sovvertendo una realtà che sorge nello spettacolo e che si consacra ad esso. Lo spettacolo diventa inversione del reale e il “sonno della ragione” diventa prevalente.
L’Irpinia non è fuori da questo schema, anzi è provincia dove addirittura ci si ammala di più rispetto alla media regionale, stando ad uno studio pubblicato dall’oncologo dott. Marfella, dell’Istituto Pascale. Pur tuttavia, grande oltraggio, essa è stata ampiamente interessata dai tagli indiscriminati e orizzontali, caduti come mannaia sulle sue già scarne presenze; la soppressione dell’assistenza e il mancato potenziamento dei poli di eccellenza, come quelli dell’ospedale di Avellino e di Ariano Irpino, sono l’evidenza della caduta dei Lea nella provincia.
Di più: è ben noto, per esempio, che nella nostra provincia, Valle del Sabato, Irno-Solofrano, Valle Lauro-Baianese, vi sia un livello di inquinamento maggiore rispetto ad altre aree, eppure, pur dentro il contesto di correlazione tra inquinamento e l’aumento delle patologie, non vi sono misure specifiche di sorveglianza e prevenzione né, ancor meno, di scelte volte alla assistenza. La invocata “ottimizzazione dei costi”, linguaggio edulcorato cui si ricorre nell’anticipo di “fregature” in arrivo, sottende solo la volontà di sforbiciare spese in danno alla efficienza dei servizi da rendere.
Da tutto ciò è derivato che l’ospedale Moscati di Avellino è ridotto ad essere la metà circa dei posti letto previsti all’atto della sua inaugurazione, che l’ospedale Frangipane di Ariano Irpino è depotenziato, che l’ospedale Criscuoli-Frieri di Sant’Angelo dei Lombardi è ormai da considerare monumentale ornamento dell’arioso panorama collinare, che l’ospedale di Solofra, senza il Pronto soccorso, è il “caro estinto” addobbato con corone di fandonie per il suo viaggio crematorio.
È nella evidenza dei fatti che le carenze dei “Pronto soccorso” sono gravi e, nello specifico, che in quello nell’ospedale Moscati di Avellino esistono condizioni offensive per i pazienti ricoverati, insostenibili per il personale assistenziale tutto, medici, infermieri e Oss, a causa di carichi di lavoro opprimenti e irriguardosi. Benché cosa nota, con finzioni declamatorie e alambicchi retorici vuoti e inutili, si perpetua in nullità decisionali, decisamente orientate all’arte dell’incanto, ad enfatiche narrazioni di fantomatiche imprese miracolistiche di là prossime a venire, a romanzesche inaugurazioni per futuri radiosi quanto fantasiosi.
Detto da Habermas: “Il populismo cresce perché la sinistra non lotta più contro le diseguaglianze”; non si può non condividere, specie se ad alimentare le stesse sono uomini che spacciano la loro collocazione ideale in questo stesso campo. In un mondo roso dalla società dei consumi e delle apparenze, emergono scelte votate alla “morte della esperienza”, con privazione delle conquiste ottenute con sacrifici e lotte spasmodiche, tra cui vi è il diritto alla salute.
La sanità pubblica appare da tempo essere sotto attacco, costante e continuato; qui, in Campania, più che altrove, si finge di non capire che la povertà è spaventosamente diffusa e che occorrono politiche socio-sanitarie di rilancio. Ridurre spazi operativi, senza che vi sia una efficace riorganizzazione strategica sul territorio, capace di offrire soccorso e assistenza, è danno che si reca ai cittadini e a sé medesimi.
Eppure, era ben chiaro e sotto gli occhi di tutti che i servizi sanitari in Campania fossero da tempo in ambasce; per esempio, quanto avvenne nel gennaio 2017, all’ospedale di Nola, a causa dei tanti pazienti costretti in Pronto soccorso su materassi a terra e su barelle di fortuna, non debitamente istruì le istituzioni, ma tutt’altro, paradossalmente al contrario, diede sfogo a chi le rappresentava di scagliarsi contro i medici, glissando sulle reali responsabilità politiche e trovando comodo allontanare da sé l’amaro calice.
Di più. Ancora adesso, il mantenimento dell’accreditamento di oltre 900 strutture private, in assenza di una seria verifica delle reali carenze del pubblico servizio, o della non emersione delle reali necessità per il soddisfacimento dei Lea, ha perpetuato convenzioni a strutture private in modo del tutto slegato dalle mancanze dell’offerta sanitaria pubblica.
L’arbitrarietà e l’assenza di criteri di raziocinio hanno comportato la duplicazione di offerte di alcuni servizi sui territori, a scapito di altri, che, carenti sono e carenti restano. Al proposito, valga l’esempio dei centri di dialisi, o di strutture pediatriche e psichiatriche; ci si chieda, in sostanza, se, in forza delle convenzioni concesse alle oltre 900 strutture private, ne è derivato, in Regione, l’abbattimento delle liste di attesa per esami diagnostici e la velocizzazione di prestazioni assistenziali. Né l’una né l’altra
Alla luce di questo, il disastro sanità, in Regione e in Irpinia, è servito.
*Unione Popolare