AVELLINO – Per uno strano incrocio temporale, ho incontrato in posizione di rilievo la medesima parola in due testi privi di ogni correlazione: nella Treccani, che l’ha scelta come parola dell’anno, e nel romanzo di Alberto Manzi (1924 - 1997), La luna nelle baracche (Edizioni di Storia e Letteratura, 2024, Iª ed. 1974). La parola è “rispetto”, la cui definizione ambiguamente oscilla fra “sentimento che porta a riconoscere i diritti, il decoro, la dignità e la personalità stessa di qualcuno, e quindi ad astenersi da ogni manifestazione che possa offenderli” e “persona di riguardo, che è tenuta in molta considerazione; di qui, nel gergo della mafia, uomini di r., i mafiosi”.
Definizioni che fanno come da spartiacque fra i due insiemi, i due raggruppamenti umani che popolano il libro di Manzi: l’uno degno d’ogni riconoscimento, di cui invece è assolutamente privo, sfruttato, umiliato e martoriato com’è dall’altro, dai servi ottusi del padrone della hacienda fra Ecuador e Perù in cui faticano senza riposo né compenso. Servi e padroni a cui si deve portare tutto quel rispetto (tradotto: paura, ricatti, violenza) che ce li fa riconoscere come mafiosi, anche se latinoamericani.
Il romanzo infatti si svolge in un villaggio chiamato San Andrés, abitato da una delle tante comunità di indios che appartengono, roba senza diritti e senza voce, al nobile señor don José, che pure si reputa un liberale illuminato perché concede ai suoi servi della gleba un pugno di mais e di fagioli da coltivare per il loro sostentamento e una miserrima paga settimanale, con cui non riescono neanche a pagarsi una medicina.
D’altronde perché sopravvivere fra tutti quegli stenti? Meglio ricorrere al brujo, lo stregone, i cui rimedi, però, non arrivano neanche a sostituire il beneficio offerto dalle foglie di coca. Sottomessi da secoli alla legge del più forte, obbligati a pagare con la propria vita i soprusi dei potenti e dei loro scagnozzi, i contadini stentano a comprendere i discorsi di chi vorrebbe farli ribellare allo status quo, come il giovane Pedro, che ha imparato a leggere e a scrivere da un missionario, sostenitore di quella teologia della liberazione che ha fatto tanti martiri nella chiesa latinoamericana. Come quel coraggioso parroco, don Rodas, che, alla messa di Natale, chiede al padrone quella giustizia che tutti dovrebbero avere: “Noi dobbiamo chiedere che da questa notte ci venga dato un po’ di rispetto, mica tutto il rispetto che si deve a un uomo, solo un po’[…]. Noi dobbiamo chiedere che da questa notte ci venga dato un po’ di alfabeto. Mica tutta l’istruzione alla quale ogni uomo ha diritto […] chiediamo un po’ di soldi, sì, anche di soldi, per poterci sfamare. Amen ”.
Alle inaudite richieste del prete, don José, furioso, esce dalla chiesa, seguito dai familiari e dai suoi dipendenti. Rimangono i poveri, gli unici a rispondere: “E con il tuo spirito”.
La vendetta sarà spietata. Ma la luce della luna finalmente illuminerà la vuota baracca di Pedro, e, anche dopo la sua morte, ogni volta che tornerà a splendere, tutto il villaggio si alzerà in piedi e ripeterà sussurrando: “Amen”.
L’insegnamento di Pedro si incarnerà nel giovane Marco, che, alfabetizzato, insegnerà agli altri a leggere e a scrivere, una ricchezza che invano il potente di turno proverà a cancellare. Perché l’autore, Alberto Manzi, ben comprendeva il valore della conoscenza: noto per la sua fortunata trasmissione televisiva degli anni Sessanta “Non è mai troppo tardi”, il maestro Manzi fu un colto pedagogista e uno scrittore di libri che è una svalutazione definire per ragazzi. La scrittura è semplice, le trame didascaliche, ma tutto risponde alla sua fortissima volontà di educare, di alfabetizzare, di diffondere il piacere della lettura, non solo in Italia (all’epoca ben poco scolarizzata) ma anche in Sud America, dove per anni, fra il 1955 e il 76, si recò, prima da solo, poi con numerosi volontari, per fare da testimone e da insegnante in una realtà allora difficilissima, ma neanche oggi completamente rimossa.
Nell’anno del centenario della nascita, il maestro per antonomasia è stato celebrato con convegni ed edizioni delle sue opere, che hanno non solo ricordato una figura amata da tanti, ma anche fatto scoprire aspetti sconosciuti della sua personalità.